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106 ATTO TERZO

SCENA VIII.

Donna Eufemia e donna Aspasia.

Aspasia. È grazioso quel vostro marito!

Eufemia. Ha questo difetto: in casa non vede volentieri nessuno. Mi dispiace che siate venuta a ricevere una mala grazia.

Aspasia. Io poi di queste cose mi prendo spasso. Sono venuta, come io diceva, per questo ventaglio.

Eufemia. Che volete dirmi di quel ventaglio?

Aspasia. Voglio dire, che se questa mattina l’avete ricusato, oggi averete la bontà di riceverlo.

Eufemia. Cara donna Aspasia, io non sono volubile a questo segno. Torno a pregarvi che mi dispensiate.

Aspasia. Bisognerà ch’io studi la maniera di farvelo prendere.

Eufemia. Sarà difficile.

Aspasia. Lo vedremo: ecco il ventaglio. Donna Eufemia, non son io che ve lo dà, è mio fratello che ve lo manda.

Eufemia. Se prima l’ho ricusato soltanto, ora vi dico che mi meraviglio di voi.

Aspasia. Ed io mi meraviglio di voi, che dalle mani di mio fratello vi degnate ricevere ed aggradire qualche segno della sua stima, e meco vi affrontiate per un ventaglio.

Eufemia. Donna Aspasia, voi siete male informata.

Aspasia. Don Luigi, non è capace di dirmi delle bugie.

Eufemia. Don Luigi, se è uomo d’onore, dirà il modo con cui le cose da lui a me offerte sieno in questa casa restate.

Aspasia. Sì, me l’ha detto che vi avete fatto pregare.

Eufemia. Nè le sue preci mi hanno indotto a riceverle.

Aspasia. Saranno stati i buoni uffizi di vostro marito.

Eufemia. Se mio marito li ha ricevuti per atto di civiltà...

Aspasia. Oh che uomo civile!

Eufemia. Signora, in casa mia parlate con più rispetto.

Aspasia. Mi riscaldo, perchè con me voi non siete sincera.

Eufemia. Sono una donna onorata.

Aspasia. Io non pregiudico il vostro onore.