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104 | ATTO TERZO |
SCENA V.
Camera di donna Eufemia.
Donna Eufemia ed Argentina.
Argentina. Che c’è, signora padrona? Vi vedo più del solito addolorata.
Eufemia. Lasciami stare per carità.
Argentina. Ditemi ciò che vi molesta, se mi volete bene.
Eufemia. Dammi da sedere.
Argentina. Subito. Oh, vi è del male: quel suo marito la vuol far crepare, la poverina). (da sè)
Eufemia. Posso essere tormentata più di quello che sono?
Argentina. Ecco la sedia.
Eufemia. (Sarò poi sforzata a raccomandarmi a mio padre), (da sè)
Argentina. A pranzo non avete nè meno mangiato.
Eufemia. (Che cosa finalmente può dire il mondo, se vado a stare con mio padre?... Non lo vorrei fare... Ma questa vita non si può durare). (da sè)
SCENA VI.
Donna Aspasia e dette.
Aspasia. Amica, compatitemi se vengo innanzi.
Eufemia. (Ci mancava costei). (da sè)
Argentina. Signora, se avesse chiamato, sarei venuta a servirla.
Aspasia. Ho chiamato benissimo, e nessuno ha risposto.
Argentina. Se avesse chiamato, non siamo sorde.
Eufemia. Chetati.
Aspasia. Donna Eufemia, avete una cameriera insolente.
Argentina. Se non le piaccio, non mi dia il salario, (a donna Aspasia)
Eufemia. Sta in cervello, ragazzaccia.
Aspasia. Mi meraviglio come la soffrite.
Eufemia. Animo. Dalle da sedere.
Argentina. (La farei seder volentieri sulle cima d’un campanile). (da sè)