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102 ATTO TERZO

Pantalone. (Se el vegnirà qua, el pregheremo con più libertà. Se se va alla Vicarìa, i ministri vede, e i vorrà magnar). (da sè) E cussì, cossa aveu scritto?

Eufemia. Guardate se così va bene.

Pantalone. Affidata alla di lei esperimentata bontà. Coss’è sta bontà esperimentada? (stracciando la carta) L’aveu esperimentà el sior auditor?

Eufemia. Io non so come scrivere.

Pantalone. Ve detterò mi; scrivè.

Eufemia. (Pazienza, non mi abbandonare). (da sè, e scrive)

Pantalone. Illustrissimo Signore...

Eufemia. Signore.

Pantalone. Avendo un’ardente brama di riverirla...

Eufemia. Questo mi pare qualche cosa di più.

Pantalone. Scrive.

Eufemia. Di riverirla.

Pantalone. Son a pregarla teneramente.

Eufemia. (Cosa mai mi fa scrivere!) (da sè) Teneramente...

Pantalone. Scassè quel teneramente.

Eufemia. Sì, voleva dirvelo: non mi piaceva. Cosa vi ho da mettere?

Pantalone. Metteghe umilmente.

Eufemia. Piuttosto: sono a pregarla umilmente...

Pantalone. Degnarsi di favorire in mia casa...

Eufemia. In mia casa...

Pantalone. Questo la l’ha scritto senza difficoltà. Quando se tratta de recever zente in casa, no la se fa pregar.

Eufemia. Orsù, non voglio scriver altro. (s’alza)

Pantalone. Scrivè, ve digo.

Eufemia. Siete... ah!

Pantalone. Cossa songio?

Eufemia. Non voglio dir niente.

Pantalone. Voggio che disè cossa che son.

Eufemia. Non posso più. Siete un marito cattivo.

Pantalone. Scrivè. (con pacatezza)

Eufemia. (Or ora m’aspetto qualche insulto novello), (da sè, siede)