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IL GELOSO AVARO | 35 |
Eufemia. Ditelo piuttosto a mio padre.
Pantalone. Vostro pare no ha da saver gnente. Voggio che lo fe vu.
Eufemia. Ma io, compatitemi, col signor auditore non posso prendermi questo ardire.
Pantalone. Za, co se tratta del mario, no la se vol incomodar. Se vede l’amor che avè per mi. Sì, se vede che xe vero quel che mi diseva. Sarè d’accordo con vostro pare; vorrè véderme precipità.
Eufemia. Ma voi giudicate troppo barbaramente di me. Son qui, farò tutto quello che voi volete. Andiamo dal signor auditore.
Pantalone. Siora no, no la s’incomoda, no voggio che la vaga ella dal sior auditor. Altro che dir no ghe voggio dar confidenza! Senza difficoltà l’anderave a trovarlo a casa... in so poder a drettura: bella riputazion!
Eufemia. Io non so più in che mondo mi sia. Tutto dico male, tutto s’interpreta male. Ditemi cosa devo fare, e farò.
Pantalone. Siora sì, adesso ghe lo dirò. (tira innanzi un tavolino)
Eufemia. (Oh cielo! dammi pazienza con quest’uomo indiscreto). (da sè)
Pantalone. Scrivè un viglietto al sior auditor.
Eufemia. Scrivetelo voi.
Pantalone. L’avè da scriver vu. Ve par gran fadiga a scriver per mi do righe?
Eufemia. Non vorrei poi che diceste...
Pantalone. El tempo passa, e me sento i zaffi alle spalle. Scrivè subito.
Eufemia. Povera me! scriviamo. (siede al tavolino) Cosa volete ch’io scriva?
Pantalone. Preghèlo, se el vol vegnir da vu a sentir do parole.
Eufemia. Da me?
Pantalone. Sì, da vu.
Eufemia. Eh via!
Pantalone. Fe quel che ve digo. No me fe andar in collera.
Eufemia. Scriverò. (scrive)