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IL FEUDATARIO 57

Florindo. Mi preme visitar questa giovine. Mia madre non saprà che voi mi abbiate insegnato la casa.1

Pantalone. Sior Marchese, no so cossa dir. Mi la venero e la respetto; la xe mio paron, e no me tocca a mi a darghe istruzion, avvertimenti, conseggi; ma per la mia etae, per l’amor che porto alla so casa2, Eccellenza, la me permetta che ghe diga e la supplico de ascoltarme. Tutti i omeni de sto mondo...

Florindo. Non voglio seccature.

Pantalone. Servitor umilissimo de Vostra Eccellenza. (parte)

SCENA XVII.

Florindo, poi Cecco.

Florindo. Questo vecchio di Pantalone so come è fatto. Di quando in quando vien fuori colle sue tirate da Seneca, da Cicerone. La gioventù non ama la3 moralità. Ora pagherei uno scudo, se trovassi la casa di Ghitta. (cava il taccuino) Bel casino, bella collina

avrebbe ad esser quella; mi proverò. (vuol salire la collina)

Cecco. Eccellenza, signor Marchese.

Florindo. Galantuomo, che cosa volete?

Cecco. L’onore d’inchinarla.

Florindo. Non altro?

Cecco. Mi conosce, Eccellenza, signor Marchese?

Florindo. Non mi pare.

Cecco. Non si ricorda dei deputati della nobile antica Comunità? Io sono uno dei laterali.

Florindo. Sì, sì, ora vi conosco4.

Cecco. E sono servitore obbligato di Vostra Eccellenza, signor Marchese.

Florindo. (Costui mi farà il servizio). (da sè) Ditemi, galantuomo, sapete voi dove sta di casa una certa Ghitta?

  1. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Pant. Eh, me maraveggio. Flor. Se ci fosse colui d’Arlecchino, non lo chiederei a voi. Pant. Sicchè donca mi e Arlecchin semo l’istesso. Se confonde i omeni, se scambia le cariche, e mi de appaltador de le rendite sarò deventà appaltador dei maroni. Sior Marchese, no so cossa ecc.».
  2. Bett. e Pap.: nobilissima casa.
  3. Bett. e Pap.: non vuol tanta.
  4. Bett. e Pap. aggiungono: alla faccia.