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46 ATTO SECONDO

Beatrice. Quando però ci sono io, non quando le trovate sole.

Florindo. Chi sente voi, Eccellentissima signora madre, crede ch’io sia il maggior discolo di questo mondo. Voi mi fate un bel carattere. Cara signora, non lo credete. Io sono un veneratore della bellezza, che sa1 trattare le donne con rispetto e con civiltà.

Rosaura. Perdonatemi, signore, voi non mi avete fatto creder così quando...

Florindo. Oh! allora non vi conosceva; ma ora che so chi voi siete, non vi lagnerete di me. Signora madre, questa è una damina. Me ne ha informato il signor Pantalone.

Beatrice. Sì, è nata nobile, ma sfortunata.

Florindo. Per amor del cielo, non l’abbandonate. Soccorriamola. Io voglio fare la sua fortuna.2

Rosaura. Signore, questo bene lo spero dalla signora Marchesa.

Florindo. Eh! la signora Marchesa non vi può fare il bene che vi farà il signor Marchese... Io, io, cara, lo vedrete.

Beatrice. Rosaura, ritiratevi, se vi contentate. Ho da parlare col Marchesino.

Rosaura. Obbedisco. (Chi sa! può essere che il mio destino si cangi3). (da sè, parte)

SCENA VIII4.

La Marchesa Beatrice, il Marchese Florindo, poi il Servitore.

Beatrice. Badatemi con un poco di serietà.5 (si mette sul serio) Sapete voi chi sia quella giovane?

Florindo. Sì, signora, lo so.

Beatrice. Sapete voi che ella sia la legittima erede di questo Marchesato?

Florindo. Come! l’erede non sono io?

  1. Bett.: uno che sa.
  2. Bett. aggiunge: Sì, farò io la vostra fortuna.
  3. Bett. e Pap.: «(Ma! comanda con autorità, ed io sono costretta ad obbedire. Chi sa! Può essere che non vada sempre così). parte. Flor. Sentite... fidatevi di me. verso Rosaura».
  4. È unita nell’ed. Bett. alla scena preced.
  5. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Flor. Eccomi ad ascoltarvi, si mette in serio. Beatr. Sapete voi chi sia quella? ecc.».