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504 ATTO TERZO


xe un gran cavalier). Se prende Fiorindo, niente. (Adesso intendo, el la gh’ha con Florindo). Vado a Roma. Son galantuomo. Addio. Vado a Roma? Son galantomo? Non voglio più maritarmi? El scrive laconico, come che el parla. Cossa diseu?1 Questa xe la polizza, che avè sentìo. (a Rosaura

Rosaura. Non so che dire: io sto alle disposizioni del cielo.

Pantalone. Sta novità ve dala gusto, o desgusto?

Beatrice. Io credo le darà piacere.

Pantalone. La lassa parlar a ela. Respondeme. (a Rosaura

Rosaura. Il mio piacere vien regolato dal vostro. Voi, signor padre, come la ricevete?

Pantalone. Dirò la verità. Sul dubbio che no fussi abbastanza contenta, gh’ho squasi gusto de véderme sciolto con reputazion da sto impegno; ma me rincresse che abbiè da perder una fortuna, che difficilmente se pol trovar.

Beatrice. Non vi sarebbe altro caso per ricompensare un tal danno, se non che la sposasse il signor Florindo. Egli è ricco niente meno forse del signor Conte.

Pantalone. No sentela, che se la sposa Florindo, nol ghe dà i diesemille ducati?

Beatrice. Glieli darebbe il signor Florindo.

Rosaura. Caro signor padre, i diecimila ducati che mi esibisce il signor Conte, mi fanno ingiuria. Ho io perduta la riputazione, per temere di non maritarmi?2

Pantalone. Donca, cossa penseu de far?

Rosaura. Ci penseremo.

Beatrice. Giacchè siamo preparati a far nozze, nel luogo del conte Ottavio, mettiamoci il signor Florindo.

Pantalone. Dove xelo sior Florindo?

Beatrice. Lo troverò io. (andando verso lo stanzin)

Rosaura. Fermatevi.

  1. Segue nell’ed. Pap.: Questa xe la scrittura che el me manda indrìo, e questa xe ecc.
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Dite bene. Ma le gioje si possono ritenere. Pant. Certo. El dise in tel viglietto: dono le gioje. Beatr. Li ha pagati bene i dispiaceri che vi ha cagionati, a Ros. Ros. E voi siete stata ricompensata de’ buoni uffizi che avete fatti per lui. Beatr. (Ha invidia della scatola d’oro). Pant. Donca cossa ecc.».