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484 | ATTO TERZO |
SCENA II.
Il Conte Ottavio, il Cameriere di locanda
e altri tre Uomini; e detto.
Ottavio. (Viene avanti, e gli uomini lo seguono; quando vede Florindo, si ferma; fa passare due uomini avanti, e si mette nel mezzo per esser difeso.
Florindo. Signor Conte, avrei necessità di parlarvi.
Ottavio. Ehi! (agli uomini, che stieno attenti, e li va disponendo per sua difesa
Cameriere. Non dubiti. Siamo con lei.
Florindo. Di che avete timore? Io non son qui per offendervi. Bramo solo di ragionarvi, ed il mio ragionamento sarà brevissimo. Signore, sono tre anni ch’io amo la signora Rosaura, e che sono da lei amato.
Ottavio. (Colla mano al mento fa segno che non gl' importa.
Florindo. Io non posso vivere senza di lei, e giacchè devo morire, sono disposto a intraprendere qualunque pazza risoluzione.
Ottavio. (Ammazzatelo). (agli uomini
Cameriere. (Per difenderla, siamo qui; ma per altro1...) (piano al Conte
Florindo. Mi maraviglio, come un uomo d’onore possa aspirare ad un simile matrimonio. La signora Rosaura vi aborrirà in eterno; e sin ch’io viva, non isperate mai d’aver pace.
Ottavio. (Dà delle monete al cameriere di locanda.
Cameriere. Obbligatissimo alle sue grazie.
Ottavio. (Ammazzatelo). (piano al cameriere
Cameriere. (Chi fosse pazzo!)2
Florindo. Voi non mi rispondete? Che modo di pensare è il vostro? Mi maraviglio di voi.
Cameriere. Signore, non si riscaldi tanto. (a Florindo
Florindo. Difendetelo finchè potete. Ma giuro al cielo, sarà vana