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432 ATTO PRIMO

Ottavio. Sì, diamanti.

Pantalone. Cussì in t’una carta?

Ottavio. Della carta vi servirete voi.

Pantalone. Grazie. (O che omo curioso!) Questo xe un regalo da prencipe. I valerà almanco domille ducati1.

Ottavio. (Ride.)

Pantalone. Più, o manco?

Ottavio. (RIde.)

Pantalone. Se ho dito un sproposito, la compatissa; mi no negozio de zoggie.

Ottavio. Mille doppie2.

Pantalone. E cussì, in t’una carta!

Ottavio. Non favorisce la signora sposa?

Pantalone. Se la me permette, anderò mi a chiamarla. Ghe porterò ste belle zoggie. La farò consolar.

Ottavio. Pregatela che non mi faccia aspettare.

Pantalone. Vegno subito. Mille doppie in t’una carta! O che caro sior zenero! (parte)

SCENA X.

Il Conte Ottavio, poi Arlecchino.

Ottavio. (Prende tabacco, poi chiama) Ehi.

Arlecchino. Comandi, lustrissimo?

Ottavio. Da sedere.

Arlecchino. La servo. (Oh! se vegnisse un altro zecchin). (gli porta una sedia) Eccola obbedita.

Ottavio. (Siede e prende tabacco.)

Arlecchino. La perdona, lustrissimo; me ne favorissela una presa?

Ottavio. (Lo guarda in faccia e ripone la scatola.)

Arlecchino. La compatissa, gh’ho sto vizio, e no gh’ho tabacchiera. Tanti anni che servo, e non ho mai possudo avanzarme tanto da comprarme una scatola da galantomo.

  1. Il ducato d’argento equivaleva a 8 lire venete (= lire it. 4,37).
  2. La doppia veneta equivaleva a 37 lire venete (= lire it. 20,20).