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LA FIGLIA OBBEDIENTE | 431 |
mi de sior Florindo, ma non so cossa farghe; no ghe vedo remedio, e no gh’ho coraggio de dirghe a sto povero putto, che Rosaura xe dada via.
SCENA IX.
Il Conte Ottavio vestito con caricatura, cioè con abito magnifico gallonato, colle calzette nere, parrucca mal pettinata, con Arlecchino, e detto.
Arlecchino. (Alza la portiera al conte Ottavio, e gli fa delle profonde riverenze. Ottavio lo guarda attentamente senza parlare, poi lo chiama a sè, tira fuori una borsa, e gli dona uno zecchino. Pantalone va facendo delle riverenze al Conte, e questi non gli abbada, osservando Arlecchino.)
Pantalone. (Cossa t’alo dà?) (piano ad Arlecchino)
Arlecchino. (Un zecchin). (resta sulla porta)
Pantalone. (Se lo digo che mia fia starà da regina).
Ottavio. Servitor suo, signor Pantalone.
Pantalone. Servitor umilissimo. L’ho reverida ancora, ma no la m’ha osservà.
Ottavio. Dov’è la signora Rosaura?
Pantalone. Adess’adesso la vegnirà. Oe, diseghe a Rosaura che la vegna qua. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Sior sì. (Oh! a sto sior Conte ghe ne vôi cuccar de quei pochi dei zecchini). (da sè, parte)
Pantalone. La prego; la se comoda.
Ottavio. Non sono stanco. Che dice di me la signora Rosaura? È contenta?
Pantalone. No vorla che la sia contenta?
Ottavio. Le ho portato una bagattella.
Pantalone. Qualche bel regalo?
Ottavio. Tenete, dategliela voi. (gli dà un involto di carta)
Pantalone. Benissimo. (Stago a veder, che la sia qualche freddura). (da sè) Possio veder?
Ottavio. Sì.
Pantalone. Olà! Zoggie? Sior Conte, roba bona?