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LA FIGLIA OBBEDIENTE 429

Pantalone. Conossela a Livorno un levantin, che i ghe dise Mustafà Sissia?

Florindo. Non lo conosco.

Beatrice. (Mi sento che non posso più). (da sè)

Florindo. Sapete ch’io sono stato quasi sempre in Venezia, ed ora non mi son trattenuto in Livorno che cinque giorni.

Beatrice. Tanto che ha ottenuto dal padre la permissione di prendere in moglie...

Pantalone. I dise che Livorno xe un bel paese.

Florindo. Piccolo, ma grazioso.

Pantalone. Gh’ho voggia de véderlo.

Beatrice. Ma via, aprite quella lettera.

Pantalone. L’averzirò co vorrò, patrona.

Beatrice. Se non la volete aprire, vi dirò che il padre del signor Florindo accorda...

Pantalone. Circa quel conto delle cere, che gh’ho manda, cossa diselo so sior pare?

Florindo. Nella lettera troverete anche questo.

Pantalone. Benissimo, la lezzerò.

Beatrice. Perchè non leggerla adesso?

Pantalone. Adesso no gh’ho i occhiali: la lezzerò.

Beatrice. Sappiate che il signor Florindo ha avuto la permissione...

Pantalone. Ala savesto de quel fallimento de Palermo?

Florindo. Ho sentito discorrerne.

Pantalone. So sior pare xelo restà al de sotto?

Florindo. Credo che in quella lettera parli ancora di questo. E parmi vi avvisi d’un altro fallimento di Livorno di un vostro corrispondente.

Pantalone. D’un mio corrispondente? (con alterazione)

Beatrice. (Ora aprirà la lettera).

Pantalone. Chi xelo sto mio corrispondente? (tira fuora gli occhiali)

Beatrice. Vedete, se li avete gli occhiali? Leggete.

Pantalone. Ah! adesso m’arrecordo; gnente, gnente. I m’ha scritto. Gierimo del pari. (mette in tasca la lettera)

Beatrice. (Che ti venga la rabbia!) (da sè)