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428 ATTO PRIMO

Florindo. Servo del signor Pantalone.

Pantalone. Patroni reveriti.

Beatrice. Eccolo qui il nostro signor Florindo. È tornato presto, e con delle bellissime nuove.

Pantalone. Ala fatto bon viazzo? (a Florindo)

Florindo. Buonissimo.

Beatrice. Quando si va a nozze, si fa sempre buon viaggio.

Pantalone. Cossa fa so sior padre?

Florindo. Benissimo, grazie al cielo. M’impone di riverirvi.

Beatrice. Il suo signor padre non vede l’ora che succeda...

Pantalone. Li portelo ben i so anni? (a Florindo)

Florindo. In verità, pare ringiovanito.

Beatrice. E ora con questo matrimonio del figlio...

Pantalone. Vali ben i so negozi?

Florindo. La fortuna non lo abbandona.

Beatrice. Via, dategli la lettera di vostro padre, e parliamo di quello che importa più.

Florindo. Ecco, signore, una lettera di mio padre.

Pantalone. Grazie. La vaniglia st’anno xela assae cara?

Florindo. Carissima.

Pantalone. Caccao ghe ne xe?

Florindo. In abbondanza.

Beatrice. Ma via, signor Pantalone, apra la lettera, legga e senta.

Pantalone. Ghe xe qualcossa per ela? Gh’ala qualche premura? (a Beatrice)

Beatrice. Per me non vi è niente; ma per la signora Rosaura. Ella vi avrà pur detto...

Pantalone. Quanto gh’ala messo da Livorno a vegnir a Venezia?

Florindo. Tre giorni da Livorno a Bologna, e tre da Bologna a Venezia.

Pantalone. (Fusselo almanco vegnù un zorno prima). (da sè)

Beatrice. (Certamente la signora Rosaura non gli ha parlato; egli non sa ancora niente). (da sè)

Florindo. Signore, se avrete la bontà di leggere quella lettera...