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222 ATTO PRIMO

Ottavio. Poverina! vi compatisco.

Beatrice. Mi maraviglio di voi, signor Pantalone, che venghiate ad inquietarci.

Ottavio. Caro amico, vi prego, non ne parliamo più. (a Pantalone)

Pantalone. No so cossa dir; parlo per zelo d’onor, e da bon amigo. No volè? Pazienza. Almanco mandeghe sti do zecchini.

Ottavio. Oh sì, signora Beatrice, date due zecchini al signor Pantalone.

Beatrice. Per farne che?

Ottavio. Florindo ha bisogno di calze, di scarpe...

Beatrice. Eh, mi maraviglio di voi. Volete andare in rovina per vostro figlio? Sei scudi il mese sono anche troppi. L’entrate non rendono tanto. Vi sono da pagare gli aggravi, i debiti, i livelli. Non c’è denaro, non ce n’è. Faccia con quelli che gli si danno; ed ella, signor Pantalone, vada a impacciarsi ne’ fatti suoi, e non faccia il dottore in casa degli altri.

Pantalone. Basta cussì, patrona. In casa soa no ghe vegnirò più; no ghe darò più incomodo; ma ghe digo che la xe un’ingiustizia, una barbarità. Ghe son intra per amicizia, per compassion; ma za che la me tratta con tanta inciviltà, pol esser che ghe la fazza véder, che ghe la fazza portar1.

Beatrice. In che maniera?...

Pantalone. No digo altro, patrona; schiavo, sior Ottavio. Tegnive a cara la vostra zoggia. (parte)

Beatrice. Ah vecchio maladetto...

Ottavio. Zitto; non v’inquietate.

Beatrice. A me questo?

Ottavio. Per amor del cielo, non andate in collera.

Beatrice. Temerario!

Ottavio. Signora Beatrice...

Beatrice. Lasciatemi stare. Farmela vedere?

Ottavio. Via, se mi volete bene.

Beatrice. Andate via di qui.

  1. Frase alquanto bizzarra, con cui si spiega di voler una cosa a dispetto di chi non vorrebbe. [nota originale]