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NOTA STORICA
«Una famosa Compagnia di comici italiani, ha dato lunedì scorso principio alla rappresentazione delle sue Commedie in questo teatro del Serenissimo signor Principe di Carignano, le quali non si ha dubbio che verranno al solito assai gradite dal pubblico.» Così una notizia nel Giornale di Torino del 21 aprile 1751 (V. Carrara, C. G. a Torino, in Commedie di V. C. Torino, 1888, vol. IV, p. 220), non seguita pur troppo da altre su quella stagione, durata fino a settembre. Non il nome d’un attore, non un titolo di commedia, non un cenno (o tempi!) sul poeta, giunto colà co’ suoi commedianti. Erano quelli di Girolamo Medebac e venivano ad esibire alla capitale del Piemonte tutta una sene di belle e nuove commedie del Goldoni. Ma le recite di quei comici italiani non incontrarono il favore del pubblico. «Il genio di questa nazione è particolare — scriveva l’autore il 30 di quel mese all’Arconati-Visconti (Spinelli, Fogli ecc., p. 17) — e dirò soltanto che più del Cavaliere e la Dama, piace in Turino l’Arlecchin finto principe.» A Torino come a Parigi. Gli istrioni italiani curino i lazzi de’ loro scenari: la commedia vera non tocchino. Due anni dopo, nella dedica della Fam. d. antiq. (V: Vol. III, p. 297, nota), ripetè in altre parole questo poco lusinghiero giudizio sui Torinesi. Ma già l’anno seguente, in fronte alla Donna volubile (Vol. VI, p. 351) modifica sensibilmente il suo pensiero. Non il più lontano accenno alle ignobili predilezioni per il teatro improvviso. Torino «situata... sul margine della Francia» aveva «adottate» non poche «delle sue lodevoli costumanze ed erano «gli animi de’ Torinesi in favore della Commedia Franzese onninamente impegnati». Nell’ediz. Pasquali (Vol. VIII, a. 1765) il passo su Torino è tolto. Trascorso un altro lungo spazio di tempo, leggeremo nelle Memorie (P. II, e. XII) che a Torino le opere del Goldoni si ascoltavano e si applaudivano, e solo sarà parola di certi tipi curiosi che a ciascuna commedia nuova dicevano: «e’est bon, mais ce n’est pas du Moliere». Per questo il Goldoni, a prova di quanto conoscesse e venerasse il Francese egli stesso, ma, più ancora, a sfogo del suo dispetto per le accoglienze fredde e le critiche avventate di chi giudicava pur senza ascoltare, da due episodi della vita di Moliere trasse questa sua commedia; la studiò coi suoi comici, e se n’andò a Genova senza presenziarne la recita (28 agosto, secondo l’ed. Bettinelli, 1753, vol. IV).
Così dopo poche commediole e dialoghi, quasi sempre allegorici, dove, salvo rare eccezioni, agisce solo l’ombra di Moliere (J. Taschereau, Hist. d.l. vie et d. ouvrages de M., Paris, 1828, pp. 417, 418; P. Peisert, Molières Leben in Bühnenbearbeitung. Halle a. S. 1905, pp. V, VI, 62), ecco un Italiano scriver la prima commedia ispirata direttamente ai casi della sua vita.