Leandro. Celebre, egregio autore!
Conte. Maestro della scena, e della Francia onore.
Valerio. (Credo che alle parole il cuor non corrisponda).
Moliere. (Sogliono gl’ignoranti andar sempre a seconda).
Leandro. Moliere, a voi vicina avete un’osteria,
Con vin di cui migliore non bevvi in vita mia.
Moliere. (Ecco lo stile usato).
Conte. È un vin troppo bestiale.
Leandro. Il Conte non sa bere.
Conte. Ma voi siete brutale.
Leandro. Venne al teatro meco, e non vedea la via;
Andammo barcollando sino alla loggia mia.
Giunti colà, ripieni del vino saporito,
Il Conte alla commedia tre ore avrà dormito.
Moliere. Tre ore?
Valerio. (L’ha sentita. Parla con fondamento).
Leandro. Fec’io quel che far soglio, quando alterar mi sento.
Andai a prender l’aria men calda e più serena,
E tornai ch’ei dormiva, verso l’ultima scena.
Valerio. (Non ne lasciò parola).
Moliere. Dunque, per quel ch’io veggio,
Un dormì tutto il giorno, e l’altro fu al passeggio.
Eppur note vi sono le cose peregrine...
Conte. A me basta il principio.
Leandro. Ed a me basta il fine.
Conte. So giudicar le cose vedute anche di volo.
Leandro. Il pubblico v’applaude, ed io me ne consolo.
Conte. Sentonsi per le strade ridire i frizzi, i sali.
Leandro. Un sarto ha registrati tutti i passi morali.
Valerio. (Ecco de’ lor giudizi la forza e l’argomento).
Moliere. (Questi son quei cervelli, di cui tremo e pavento).
Leandro. Dopo essere noi stati ad ammirarvi in scena,
Molier, vogliam godervi in casa vostra a cena.
Moliere. Ma come alla commedia v’andaste deliziando,
Un cenerà dormendo, e l’altro passeggiando.