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NOTA STORICA
Questa commedia fu recitata a Venezia la prima volta nell’autunno del 1751, come afferma l’ediz. Paperini e come conferma la prefazione alla Donna vendicativa. Altra buona testimonianza troviamo nell’avvertenza premessa alla commedia nell’ediz. Pasquali; e però non è da far conto delle Memorie, le quali per la solita noncuranza, piuttosto che smemorataggine, del vecchio autore, trasportano la data due anni dopo. Confessa il Goldoni nella prefazione di aver tratto l’argomento dalle «varie» e «bellissime» cose osservate a Rimini in quei mesi dal luglio al marzo 1743-44, che passò nel bel mezzo delle armate di Spagna e d’Austria, in un periodo di sosta, diremo così, della guerra di Successione. Altra volta il Dottor veneziano, dieci anni avanti, erasi trovato fra il rumore delle armi, e aveva co’ suoi occhi mirato qualche episodio dell’assedio del Castello di Milano e della famosissima battaglia di Parma: di che si ricordò un po’ più nel ’60, quando scrisse la Guerra.
Non ci fa meraviglia che dopo aver posto sulla scena, con gente d’ogni classe, avvocati, e medici, e speziali, costretto com’era a tormentare la fantasia per ricavarne soggetti nuovi, si rivolgesse ai soldati: tanto più che i modelli, come si legge nella prefazione, esistevano nella sua stessa famiglia. Ma il Goldoni si guarda bene dal ripetere il tipo classico e ormai stucchevole del miles gloriosus, non chiede al teatro dell’arte le terribili geste del capitan Spavento, lascia agli Spagnoli e ai Francesi il matamoros, il rodomonte ecc.: poichè fin dai tempi di Luigi XIV Pirgopolinice erasi rovinato col gioco, e per pagare i suoi debiti l’ufficialetto aveva teso la mano a qualche grassa vedova (v. Dancourt e i romanzi di Courtilz de Sandras ecc.). Le guasconate non facevano più ridere la platea. Inoltre le troppe guerre che avevano funestato la penisola, l’ultima in peggior modo, lasciavano recente ancora nell’animo delle nostre popolazioni più che il terrore, il disgusto. Venezia non si poteva accusare di corruzione e di vecchiezza, perchè non si curava di restaurare le fortezze e non sacrificava l’erario per creare una nuova flotta: essa credeva sinceramente alla neutralità, e fatta esperta dai danni suoi propri e degli altri, parevale quella essere la più civile e benefica politica per uno stato sì piccolo. Tutti quanti i filantropi e i filosofi del Settecento aborrivano dalla guerra: dalla guerra, si capisce, combattuta com’era sempre nel continente per ragioni dinastiche. E Carlo Goldoni partecipò in generale ai sentimenti umanitari del secolo suo: le sue idee morali e sociali fiorirono nell’aere medesimo che fecondò gli scritti del Muratori e del Filangieri. Le finte Lettere del Costantini, più volte citate, esprimono in forma rozza e ingenua, a Venezia, l’odio del popolo contro le conquiste e gli eroi conquistatori, e la pietà sia per le miserie che si trae dietro l’orrendo flagello, sia per quelle che affliggono i soldati stessi: nè occorre ricordare, insieme con grandi autori oltramontani, o il Parini, o l’Alfieri (v. specialmente gli studii del Bertana sui poeti nostri). Chiamare Goldoni antimilitarista é una specie di anacronismo: ma certo, com’egli candidamente confessa, l’indole sua, benchè non affatto timida, rifuggiva dalle pose marziali, e il suo spirito, benchè avventuriero, dal mestiere delle armi. Non già che, indurato alle traversie della vita, non avesse saputo anche in quei frangenti