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318 ATTO TERZO


possa ora pregiudicare alla vostra fama; vi pongo però davanti agli occhi il facile vostro avanzamento, e pel merito della vostra casa, e pel vostro valore.

Alonso. Che mi parlate di avanzamento, di cariche, di fortuna? Mirate Rosaura, in essa ho collocato il mio bene. Bastami l’acquisto del di lei cuore. Deh, lasciatemi in pace la mia fortuna.

Sancio. Non so che dire, siete padron di voi stesso, siete provveduto di beni. La pace del cuore è la maggior felicità della terra: non intendo di levarvela, non ho coraggio d’oppormi. Parlerò per voi al generale medesimo, e s’ei v’accorda il congedo, non temete che vostro zio possa formare ostacolo alla vostra felicità.

Alonso. Cara Rosaura, sarete mia.

Pantalone. Sala, sior, che ghe son anca mi?

Rosaura. Caro padre, abbiate pietà.

Alonso. Ve la chiedo colla maggior premura.

Pantalone. Almanco che no para un pandolo; via, se el vostro general se contenta, sposela, che me contento anca mi.

Alonso. Deh, amorosissimo zio, non trascurate di parlare in tempo per me; la marcia è vicina; intercedete dal generale, che io ne possa essere dispensato.

Sancio. Sì, don Alonso, vado per consolarvi; e tuttochè risenta al vivo la perdita di un nipote a me caro, preferisco alla vostra pace qualunque mia privata soddisfazione. Don Garzia, seguitatemi.

Garzia. Eccomi. Don Alonso, vado per voi in arresto; ciò non ostante riconosco da voi la vita, e come amico vi abbraccio.

Alonso. Deh signore zio, risparmiate la pena a chi pentito si mostra.

Sancio. Sì, quest’atto di rassegnazione lo merita; seguitemi e non temete. (parte)

Beatrice. Don Garzia, me ne consolo.

Garzia. Nulla m’importa nè di voi, nè delle vostre consolazioni. (parte)