Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/251


241

Lelio. Alla mia venerea bellezza.

Pantalone. A vu el v’ha dà l’anello? (o Corallina)

Corallina. Sior sì, a mi. Co i matti butta via, chi gh’ha giudizio tiol suso.

Pantalone. E a vu chi v’ha dà quell’anello? (a Rosaura)

Rosaura. Il signor Florindo.

Pantalone. Oh che equivoco! Oh che imbroggio! Chi v’ha dito a vu che quella sia mia fia? (a Lelio)

Beatrice. Signor Pantalone: vi domando perdono, lo sono l’innocente cagione di tanti abbagli che nati sono. Per ridermi del signor Lelio, gli feci credere che Corallina fosse la vostra figliuola.

Pantalone. Adesso capisco tutto. Aveu sentìo, sior, no la xe mia fia; la xe la gastalda.

Lelio. O figlia, o non figlia, o castrata, o castrarla, ella deve esser mia.

Ottavio. Sì signore, deve esser sua, voi gli avete a dare la dote, e io ho d’avere i mille ducati.

Pantalone. Cossa diseu, siora Corallina? El sior Lelio ve vol; abbrazzeu sta bella fortuna?

Lelio. Ah? Che ne dite? Lo volete voi il prototipo della bellezza?

Corallina. Sior prototipo caro, mi no so cossa far de elo.

Lelio. Eh via, accostatevi al viril sesso.

Corallina. Che digo cussì, che nol gh’ho gnanca in te la mente.

Lelio. Come? Mi regurgitate?

Corallina. Sior sì, lo gomito.

Lelio. Mi conculcate?

Corallina. Lo mando e lo stramando.

Lelio. Non mi volete?

Corallina. Sior no.

Lelio. No certo?

Corallina. No seguro.

Lelio. Vado in collera.

Corallina. Buon viazzo.

Lelio. Monto in bestia.