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Pantalone. Chi? Sior Florindo? L’ho visto.
Beatrice. Vi ha parlato?
Pantalone. El m’ha parlà! Cara ela, la compatissa, ho da dir do parole a mia fia. Rosaura, andemo.
Beatrice. No, no, accomodatevi qui.
Pantalone. La prego...
Beatrice. No, vi dico, restate. (Mio nipote non averà perso tempo). (da sè, via)
Rosaura. (Cossa mai vorrà dirmi mio padre?) (da sè)
Pantalone. E cussì, siora, la xe quella che digo mi. I morosi, che no pol aver libertà a Venezia, i vien a favorirne in campagna.
Rosaura. (Florindo si è già scoperto). (da sè)
Pantalone. Ma stimo che i fa i so accordi, i mette1 i so ordini, e se fa tutto senza dir gnente a so pare.
Rosaura. Io, signore, credetemi, non ne so nulla.
Pantalone. Tasi là veh, desgraziada, che so tutto. Dov’elo l’anello ch’el t’ha dà?
Rosaura. (Oh diamine; gli ha detto anche dell’anello). (da sè)
Pantalone. Via, siora, dov’elo sto anello?
Rosaura. Eccolo.
Pantalone. Bella cossa, ah? recever i regali dai morosetti.
Rosaura. Me lo ha dato la signora Beatrice.
Pantalone. Eh za, siora Beatrice fa la mezzana. Credeu che no sappia che la xe vegnua a posta per introdur sto bel soggetto.
Rosaura. (Povera me! sa tutto). (da sè)
Pantalone. Basta, el m’ha fatto parlar, e el ve vol per muggier; cossa diseu?
Rosaura. Se siete contento voi, son contenta ancor io.
Pantalone. Vardè che bella rassegnazion. Se sono contento io, siete contenta anche voi. Ma voi avete fatto l’amore senza de io2.