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SCENA IV.

Lelio di dentro, e detti.

Lelio. Chi è qui? Si puoi penetrare?

Pantalone. Oh, ghe mancava sto matto. Andè via, che no vôi che al ve veda.

Corallina. Eh, che el lassa ch’el vegna.

Pantalone. No vôi, ve digo.

Lelio. Licet, licet? (di dentro)

Pantalone. Andè in quella camera, e ve chiamerò.

Corallina. Caro sior patron, tutto quello ch’el vol elo. Oh Dio, che per elo me butterave in fogo. (via)

Pantalone. Cara culìa... La vegna, patron la resta1 servida. Sentimo cossa che vuol sto sempio.

Lelio. (Esce) Signore, come gli dissi, io son venuto in birba.

Pantalone. Sior sì, me n’accorzo.

Lelio. E sono venuto con due cavalli, li quali non possono vivere senza mangiare.

Pantalone. Son persuaso.

Lelio. Ergo, dalle proposizioni premesse fate voi la dilazione dell’argomento.

Pantalone. Patron mio reverito, mi no so cossa diavolo che la se diga.

Lelio. Vi parlerò più zoticamente. Avete fieno nella vostra stalla?

Pantalone. Credo de sì.

Lelio. Avete biada?

Pantalone. Ghe ne sarà.

Lelio. I miei cavalli vi riveriscono, e vi pregano di dar loro da mangiare.

Pantalone. Fazzo umilissima riverenza ai so cari cavalli, e ghe digo a ela che la vaga dai mi contadini da parte mia, e che la se fazza dar tutto quel che la vuol.

Lelio. Benissimo, vi ringrazio in nome dei miei cavalli; ma già che

  1. Nel testo: vegni e resti.