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di farle rappresentare il mio Enrico Rè di Sicilia, animato dal fu Sig.r Abbate Conti, d’onorata memoria ed ebbe l’A. V. R. la Clemenza di compiacersene.

Ardisco pertanto presentare agli occhi begnissimi di V. A. R. una Commedia mia manoscritta, la quale si è rappresentata in Venezia varie successive sere, ma non ancora è stampata, per quanto gli Amici miei m’abbiano a farlo eccitato.

Doppo (sic) essermi io applicato per qualche anno a correggere a misura de scarsi miei talenti, il Comico Teatro Italiano ed avere in un sì grave impegno procurato imitare il Celebre Moliere Francese, ho finalmente posto Lui medesimo in scena, ed ho de suoi casi formata una Commedia, intitolata Moliere. Ho voluto in questa, a diferenza dell’altre mie seguire anco lo stile del Lodato Autore, scrivendola in verso rimalo, ad immitazione delli Francesi.

Una tal novità mi fu universalmente approvata sin ora e tutti si uniscono a lusingarmi aver io formata una Commedia, che mi può far qualche onore.

Se così è, la offerisco umilmente all’A. V. R.le perchè si degni di leggerla, e farla ancora da suoi Comici rappresentare.

Tutti come dicevo, mi danno de frequenti stimoli per istamparla, ma siccome ella è diversa dalle altre mie nello stile, la stamperò separata, e sarei ben fortunato, se l’A. V. R.le Clementissimo Principe, volesse benignamente concedermi di consacrarla dai Torchj all’Altissimo di Lei Nome.

Ecco la grazia, che io umilmente le chiedo, e crederò allora ben impiegati i sudori miei, se mi averanno un fregio sì grande ottenuto. Ciò vivamente io spero dalla Clemenza impareggiabile dell’A. V. R.le a cui con umile profondo ossequio m’inchino.

Venezia, li 4 Xbre 1751.

Di V. A. R.le
Umiliss.mo Servidore Ossequ.mo
CARLO GOLDONI.


Il ms con la lettera e la commedia si trova alla Biblioteca Reale di Dresda (msc. Dresd. Ob 42). Consta di 73 pp. num., più 4 che rispondono alla dedica, al titolo e all’elenco de’ personaggi. La commedia è quale fu poi stampata dal Paperini. All’Ab. Antonio Conti (1677-1749), il noto drammaturgo, il Goldoni, salvo errore, accenna una volta soltanto, nella pref. al vol. XIII del Pasquali (V; Vol. 1,° p. 99). Ma da questa lettera si vede ch’era in rapporti col Goldoni e conosceva il principe. L’avvocato mandò a Dresda il copione, ripetendo forse in cuor suo i versi della sua cantata «Se pietoso il fato arride |Al desio che m’arde in petto, | Spero lieto in tal oggetto | I miei danni ristorar», ma sia che dell’«eroe la bell’alma» e del «rampollo regale il cor pietoso» si fossero mutati a suo riguardo, sia (ben più probabile) che il principe avesse dimenticato il dottor veneziano che poetava a ore perse — la risposta fu negativa o mancò del tutto. E allora il Goldoni, senza perdersi d’animo, pensò a un altro principe certo assai più in grado di intendere la nobile impresa da lui tanto bene avviata. Così opportunamente la commedia, dove Carlo Goldoni s’inchinava al grande riformatore della scena francese, andò dedicata a Scipione Maffei che, primo, con nobilissimi e savi propositi aveva ideato il rinnova-