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action»; il Royer affermare che Gold, restò «bien au-dessous de la tàche qu’il avait entreprise» (Hist. un. d. théa. Paris, 1870, voi. IV, p. 331); e il Guerzoni, rincarando, dirlo «infelice commedia... morta nella culla» (Il tea. ital. n. sec. XVIII, Mil. 1876, p. 253), asserzione contraddetta dai fatti. Altri ancora. Victor Klemperer, riassumendo una sua severa critica, sentenzia: «se Goldoni non avesse fatto di meglio là dove potè descrivere la sua cara Venezia, non avrebbe avuto diritto davvero a disegnare Moliere come suo maestro» (Die Gestall Molières auf der Bühne. Bühne und Welt, 1° giugno 1906, p. 721). Plaude Marietta Ortiz alla condanna senza appello che su questa aberrazione goldoniana (Giorn. stor. d. lett. it. LII, p. 174) pronuncia Giuseppe Ortolani («sgorbiò il Molière pessima commedia». Della Vita e dell’arte di C. G. Ven. 1907, p. 66). A Virginio Brocchi il Molière e compagni [Il Tasso e il Terenzio] paiono solo «esercitazioni letterarie» sorte dalla «smania dell’auto-apologia» (C G. e Ven. nel sec. XVIII. Bologna, 1907, p. 38), e «d’une parfaite insuffisance» lo ritiene Paul Souday (L’Eclair. Paris, 25 febbr. 1907). Eppure, se giudizi laudativi sono, senza dubbio, fuori di posto, sentenze capitali vorremmo serbate a ben più gravi aberrazioni goldoniane. Valentino Carrera, non cieco ai difetti, riassumeva così il suo giudizio: «se il Mol. rivela in più d’un punto la marno maestra, nel suo insieme e un po’ stentata nell’azione e scarsa di comicità e ad ogni modo non corre svelta e disinvolta, spandendo sorrisi e fiori, come molte altre del nostro autore. Non credo quindi che possa stare fra quelle che sono il maggiore documento della sua gloria» (op. cit. p. 233). Ancora troppo indulgente, va concesso. Non documento di gloria, anzi neppur tra le buone. Accettiamo piuttosto, concludendo, l’equo parere del De La Harpe: «faible d’intrigue et de caractères; mais il y a quelques scènes plaisantes et le dialogue est naturel» (Oeuvres, Peuis. 1778, voi. VI, p. 324).
Questa sua opera, che per il soggetto e per la forma esterna potè sembrare all’autore lavoro classico addirittura, doveva esser dedicata dapprima a Federico Cristiano, principe elettore di Sassonia. Arrise al Goldoni l’idea di render omaggio nello stesso tempo al principe della scena moderna e a un principe del sangue. Più ancora forse — la speranza di qualche munifico dono da chi già un’altra volta avea gradito le cose sue. E Federico Cristiano nel suo soggiorno a Venezia l’anno 1740 (Molmenti. La storia di Ven. n. vita privata. Bergamo 1908, vol. III, p. 162) aveva sentito l’Enrico Re del Goldoni (Vol. I, a pp. 135-137; Spinelli, Bibliografia, p. 167) e in suo onore, per commissione del Procuratore Pietro Foscarini, il Goldoni avea composto Il Coro delle Muse, serenata (Ediz. Zatta, voi. 33) eseguita all’Ospedale della Pietà. Prima dunque di dare al torchio la sua commedia, il poeta ne fece trarre una bella copia calligrafica, ebbe cura di qualificare il suo lavoro nel manoscritto commedia di carattere, apposizione che nelle stampe manca, e inviò con questa umilissima lettera, fin’oggi inedita, a Dresda.
Altezza Reale,
Fin da quel tempo, in cui L’A V. R.le rese felice questa città coll’adorabile sua presenza, appresi, ch’Ella gradiva fra’ suoi onesti divertimenti quello delle Teatrali Rappresentazioni. Ebbi anch’io l’onore in quel tempo