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il Peisert (op. cit., p. 39), C. V. Susan (C G., Oesterreichische Rundschau, 15 febbr. 1907, p. 291) e A. Gleichen - Russwurm (C. G. Die Nation. Berlino, 23 febbr. 1907).

Sparito il Moliere ormai dalle tavole del palcoscenico per restare solo nei vasti domini della storia letteraria, riposo e ultimo appello a’ lavori teatrali — che ricordo ne serba la critica? Agli elogi dell’Aignan e dello Stendhal s’aggiungono quelli del Montucci («bellissima commedia» op. e 1. cit.), dell’ab. Frane. Fanti ( «Il M. certo non può che piacere ed è una commedia che fa onore al suo autore» Lett. da Modena in data 8 agosto 1754. Modena a C. G. 1907, p. 333), dell’Auger, il cui giudizio mette conto riportare intero: «G. a fait... une piece intilulée Moliere, et c’est son chef d’oeuvre. L’idee en est heureuse, l’intrigue bien ourdie, les situations plaisantes, les caractères fortement tracés. L’auteur a écrit de verve, il s’est fortement identifié avec les chagrins de Molière, et les a peint avec une telle verité, que vous vous croyez transporté dans la maison même de ce grand homme, et que ses faiblesses et ses peines se decouvrent au spectateur comme a un ami. La pièce est ecrite en vers, et il en est resulté plus de vivacité et de brillant dans le dialogue». Physiologie du Théatre. Bruxelles, 1840, vol. 2° p. 268). Ben s’accorda con questo l’elogio d’Achille Neri: «Tutto lo svolgimento e... lavoro della sua immaginazione, condotto con tanta naturalezza e maestria, da far credere agli spettatori che veramente le cose si fossero passate in quella maniera, e non altrimenti. In ciò sta appunto il gran merito di Goldoni, e il difficile segreto dell’arte drammatica» (op. cit. pp. 52, 53). Biasimo e lode dispensa in equa misura il Rabany (op. cit. pp. 276, 281 e passim). Ma perchè pretendere dal Goldoni, l’anno di grazia 1751, qualche cosa di nuovo sull’anima e sul genio del Moliere? Tanto non chiede il Lüder che lo loda per il modo onde riuscì «a creare nel suo eroe una figura tanto viva e interessante quanto storicamente verisimile», e son messe con simpatia in rilievo le affinità tra i due poeti: il biografo e il biografato. In altri riguardi non manca neppure il biasimo (C. G. u. s. Verhälinls zu M. Berlin, 1883, pp. 23 - 30). Nell’encomio entusiastico supera ogni altro critico Domenico Oliva («Molière e sua moglie» di Gerolamo Rovella al Valle. Il Giorn. d’It., 20 maggio 1909). Il Moliere goldoniano e per lui «così vivace e indiavolato, così teatrale, così umano, così divertente da non parere superabile: di fatti non fu superato. Moliere vi è addirittura magnifico: Chapelle sotto il nome di Leandro è ritratto al vivo, e così La Grange sotto il nome di Valerio: che più! Il Goldoni ebbe l’ardimento di porre Tartufo in iscena, chiamandolo alla maniera del Gigli Pirlone: felice, radioso ardimento: la copia vale l’originale... ma non è copia, è un altro Tartufo grottesco, buffo, impagabile...» Ricordiamo ancora Giulio Bertoni (Modena ecc. op. cit. p. 416), il quale al Moliere allude con grande favore; Eugen Reichel, un goldoniano improvvisato per il bicentenario (1907), che lo annovera tra le meglio cose del Goldoni (Sonntagsblatt des Hannoverschen Couriers, 1907, n. 845), e così un tale Charles Simond, per il quale proprio questa commedia è per noi Italiani il capolavoro dell’autore (nella Notice biographique al Bourru bienf. Paris, Gautier, n. 130 della Bibl. popul).

A contrabbilanciare tanto spreco d’elogi ecco la Correspondance del Grimm (vol. cit. p. 296) definire il lavoro «une fable sans mouvement et sans