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E il Geoffroy aveva ragione di chiedersi: «N’est - il pas étrange qu’un Italien ait rendu le premier cet hommage dramatique á notre Moliere?» (Cours de litt. dram. Paris. 1825, vol. III, p. 400).

Dal simpatico libriccino del Grimarest (La vie de M. de Moliere. A Paris, MDCCV; ristampato a cura di A. P. - Malassis, Paris, 1877) attinge il Goldoni tutto quanto spetta alla gara — episodio centrale della commedia — tra le due rivali ch’egli, sempre col Grimarest, ritiene madre e figlia, non sorelle, come documenti venuti a luce più tardi provano (cfr. G. Mazzoni. Il teatro della rivoluzione. La vita di M., ecc. Bologna, 1894, p. 124 e segg.). Poichè la fonte non fa il nome di nessuna delle due, e il nostro autore dovea pur distinguere e d’un nome almeno aveva bisogno pel dialogo, con curioso anacronismo e violando lo spirito della nostra lingua, chiama dapprima la più giovine Guerrina, dal nome del [secondo] marito, come in Francia usa. E l’aveva scovato nel noto libello contro quella povera femminetta, intitolato La fameuse comedienne ou histoire de la Guérin auparavant femme et veuve de Moliere (a Francfort, ecc. 1688; ristampato nel 1868 a Ginevra). Rimediò poi nell’ed. Pasquali ribattezzandola col nome d’Isabella, trovato in un Dizionario francese che potrà essere il Dictionn. portatif. des theatres (Paris, 1 754), nel quale però non si legge (p. 390) Isabella, ma Elisabetta. Errore per errore (si chiamava Armanda), al Gold, per ragioni di ritmo e di rima piacque meglio il primo, di suono affine. Ci appare il Moliere nel momento più felice della sua vita e più significativo per l’arte sua, avendo il Gold., con arbitrio non negato ai poeti, raccostato due date tra loro lontane; il 1662, anno del suo matrimonio, e il 5 febbraio 1669, data della prima recita pubblica del Tartuffe. Anche l’episodio di Don Pirlone, che nella commedia prende il secondo posto, si trova accennato dal Grimarest (pp. 106, 107 della ristampa). Di là pure l’affaccendarsi dell’ipocrita per alienare al direttore - commediografo l’animo di tutti. E pur la buona trovata comica del mantello e del cappello toltigli onde Mol. se ne serva nella recita del suo capolavoro, risponde a uno spunto del Grimarest (p. 139). Inutile cercar più lontemo (Ménagiana, III p. 230; Mélanges historiques ecc. Amsterdam, 1718, p. 70), come suppone il Peisert (op. cit. p. 1 4). Nel nome dell’impostore e persino nella prima sua forma Curlone, consigliata al Goldoni o al Medebac, editore, da prudenza o voluta dalla censura, s’indovina e si ritrova il Don Pilone di quel Gigli, cui la Premessa allude con sì infinite cautele. Fattosi coraggio, l’a. adottò la forma Pirlone, che il nome originale gli ricordava forse troppo la pila dell’acqua santa. A ogni altro particolare, quasi a ogni battuta, salvo qualche tirata apologetica o aggressiva, fa riscontro un passo o l’altro del Grimarest (cfr. ancora le scene I 1,4; II 10; III 3, 6; l’2, 6 con le pagine, 20, 23, 36, 37, 107, 135, 139, 169 del Grim). Alle poche modificazioni operate dal Gold, aggiungi la casanoviana trasformazione della «vieille servante La Forest» (Grimarest, p. 134) in una vispa Colombina goldoniana che stuzzica le voglie del nuovo Tartufo, e l’invio di Valerio (Baron) al campo di Fiandra in luogo del La Torellière e del La Grange (Grimarest, p. 108), come lo stesso Moliere narra nella premessa al suo capolavoro.

Ma il seguire tanto da vicino la mite, piana esposizione del Grimarest, più inteso a mettere in evidenza la bontà e la debolezza dell’uomo, che a pre-