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86 | ATTO TERZO |
genitore, cercate di consolarlo; se siete pentito d’averlo oltraggiato, fate che il vostro pentimento medichi le sue piaghe, e non le inasprite coi vostri pazzi trasporti. Un reo che si vuol privare di vita, mostra non essere capace di pentimento, ma piuttosto fa credere, che amando le colpe, voglia morire anzi che abbandonarle. Tutti i mali hanno il loro rimedio, fuor che la morte. Le disgrazie di vostro padre non saranno poi irrimediabili: l’ho veduto andar con mio zio nel suo studio, dopo essere stati per qualche tempo seduti insieme. Il signor Pancrazio è uomo d’onore, è un mercante di credito; mio zio è buon amico. Vedrete che le cose di casa vostra prenderanno miglior sistema. Rimediato a questa parte del vostro rammarico, vi resterà il rossore di essere un figlio ingrato; ma finalmente non sarete voi il solo figliuolo discolo, che abbia dissipato, speso, scialacquato e malmenati a capriccio i giorni bellissimi della gioventù. Chi invecchia nei vizi è detestabile, ma chi cade, nell’età vostra fervida troppo e troppo solleticata dalle occasioni, è compatibile. Il momento in cui vi pentite, scancella tutte le colpe andate, e due lagrime di tenerezza, che voi versiate a’ piedi di vostro padre, compensano tutte quelle che egli ha versate per voi. Fatevi animo dunque, lasciate a noi la cura degl’interessi, pensate solo a voi stesso, e dalla cognizione del male prendete regola per l’avvenire1.
Giacinto. Madamigella. (si getta a di lei piedi)
Madamigella. Alzatevi, che non ho finito di ragionare.
Giacinto. Che mai potete2 dire di più?
Madamigella. Ditemi prima qual impressione abbia fatto nel vostro animo il mio ragionamento.
Giacinto. Che volete ch’io dica? Mi sento intenerire, sono convinto, sono stordito.
Madamigella. Chiederete perdono a vostro padre?
Giacinto. Sì, altro non bramo.