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60 ATTO SECONDO

Pancrazio. Andiamo a contar il denaro, e gli farò la scritta.

Dottore. Il denaro è bello e contato. Io vi do questa carta, e voi me ne darete un’altra di vostra mano.

Pancrazio. Ma il soldo dov’è?

Dottore. Domandatelo a vostro figlio.

Pancrazio. A mio figlio? Come c’entra mio figlio?

Dottore. Oh bella! Questa è la sua ricevuta. A lui ho dato i duemila ducati all’otto per cento....

Pancrazio. A lui?...

Dottore. Sì, a voi che siete il capo di casa, non ho difficoltà di lasciarli al sette.

Pancrazio. Oh povero me! Faccenda...

Faccenda. Un negozio buono, signor padrone.

Pancrazio. Dunque voi avete dato a mio figlio duemila ducati?

Dottore. Non lo sapevate?

Pancrazio. Non lo sapeva, nè lo voglio sapere, e faccio il conto di non saperlo.

Dottore. Bisognerà bene che lo sappiate; e se non vi chiamerete voi debitore di questa somma, farò i miei passi, e vostro figlio anderà prigione.

Pancrazio. In prigione mio figlio? Voi meritate di andare in berlina. Voi, vecchio avaro, che per un utile illecito, per guadagnare un per cento di più, mi avete mancato di parola, e li avete dati a un giovine che negozia, è vero, ma finalmente in casa ha ancora suo padre vivo. Se glieli avete dati, vostro danno, meritate di perderli: maladetti1 tutti quelli della vostra sorte, che facendo usure e scrocchi, precipitano la gioventù2.

Faccenda. (Bravo da galant’uomo! Ha parlato da par suo). (da sè)

Dottore. Se non mi pagate con altra moneta che con questa, ora vado a farmi fare giustizia. (mostra d’andarsene)

Pancrazio. Fermatevi, uomo senza onore, senza coscienza.

Faccenda. (Lasci che vada. Che cosa può fare?) (a Pancrazio)

  1. Pap.: maladetto voi e maladetti ecc.
  2. Pap. aggiunge: rovinano le case, mantengono i vizi, i disordini, il gioco, le crapule e le disonestà.