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516 | ATTO SECONDO |
Corallina. Piano, piano, signori: prima di concludere, ascoltino due parole.
Beatrice. Voi qui non c’entrate.
Corallina. Può essere che c’entri meglio di lei. (a Beatrice)
Beatrice. Che temerità!
Florindo. Che insolenza!
Ottavio. Via, lasciatela pariare; dite quel che volete dire.
Corallina. Il signor Florindo non può dar la mano di sposo ad alcuna donna, senza mia permissione.
Rosaura. Oimè!
Ottavio. Come?
Florindo. Come lo potete voi sostenere? (a Corallina)
Corallina. E voi medesimo lo domandate?
Beatrice. Bisogna ben sapere il perchè.
Corallina. Perchè a me ha dato fede di sposo.
Ottavio. Corpo di bacco!... (infuriato)
Florindo. Ciò non è vero. Ho detto qualche parola per ischerzo; ma cose da nulla, cose che non concludono niente siffatto.
Corallina. Cose da nulla? Cose che non concludono? Osservi, signor Florindo, questa sottoscrizione è sua?
Florindo. Sì, è mia. Che sì, ch’egli è quell’obbligo dei cinquanta zecchini? Sì, signori, confesso la verità. Avevo necessità di denari; ella mi ha prestati quaranta zecchini, ed io le ho fatto una ricevuta di cinquanta. Ma sono un galantuomo: i vostri denari eccoli qui, li ho preparati; ve li do, e voi rendetemi la mia obbligazione. (le dà una borsa, ella la prende)
Ottavio. Donde avete avuto quel denaro? (con collera a Corallina)
Corallina. L’ho vinto al lotto. Voi come c’entrate nella roba mia?
Ottavio. Basta... voleva dire... (Che me li avesse rubati a me?) (da sè)
Beatrice. E che sì, che li avete guadagnati con una cinquina? (accenna con cinque dita)
Corallina. Spiritosa!
Rosaura. E così, quando il signor Florindo vi ha pagato, è finita.
Florindo. Rendetemi l’obbligo che vi ho fatto.