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510 ATTO SECONDO

Beatrice. Fate gran carestia delle vostre grazie. Io credo sieno sei mesi che non vi ho veduto.

Ottavio. Ho degli affari; non posso venire.

Beatrice. Il mio bambino è ammalato...

Ottavio. Me ne dispiace. Avete da dirmi qualche cosa? Avete bisogno di niente?

Beatrice. Son qui per un affare di conseguenza. Vi prego di ascoltarmi con un po’ di tolleranza.

Ottavio. Nipote mia, ho qualche cosa anch’io di premura. Quel che m’avete a dire, ditelo presto.

Beatrice. Sediamo un poco.

Ottavio. No, no, in piedi. (Se si mette a sedere, non la finisce più). (da sè)

Beatrice. Ma io mi stanco a stare in piedi.

Ottavio. Ci sto io che son vecchio, ci potete stare anche voi.

Beatrice. Il cielo vi benedica, venite sempre più giovane: come fate a conservarvi sì bello e fresco?

Ottavio. Mi governo. Oh via, dite su.

Beatrice. Mio padre, poverino, è morto giovane, mentr’egli aveva tanti anni meno di voi.

Ottavio. Non parliamo de’ morti...

Beatrice. E ho paura che il povero bambino voglia viver poco.

Ottavio. Nipote mia...

Beatrice. Patisce certi mali...

Ottavio. Nipote mia... (alza un po’ più la voce)

Beatrice. Il medico ha paura...

Ottavio. Nipote mia... (forte, con rabbia)

Beatrice. Zitto, zitto: non andate in collera.

Ottavio. O dite quel che avete a dirmi, o ch’io me ne vado.

Beatrice. M’ha mandato a chiamare Rosaura mia cugina.

Ottavio. Mia figlia?

Beatrice. Sì signore: e poverina, colle lagrime agli occhi, mi ha detto un’infinità di cose; e son qui da voi a raccontarvele distesamente.

Ottavio. Sicchè vi vorranno almeno due ore a sentirle tutte.