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IL CONTRATTEMPO | 459 |
audacia, scancella affatto ogni tenerezza che ho provata per voi: manderò qui le vostre robe.
Pantalone. Qua no, la veda: qua nol ghe sta più.
Corallina. Tutti i suoi mobili stanno in una calzetta.
Beatrice. Andiamo, signor Lelio. (gli dà la mano) E voi, uomo ingrato, uomo di mal costume, che ardite vilipendere chi vi ha fatto del bene, non vi accostate più alla mia casa, se non volete ch’io vi faccia fare qualche brutto giuoco. (Tremo nel dirlo, ma la mia riputazione lo vuole). (da sè, parte)
Lelio. E degli insulti a me fatti fuori di qui, me ne renderai conto. (parte)
Corallina. Ah, ah, ah, signor scroccone! (ridendogli in faccia)
Ottavio. Giuro al cielo, non mi insultare. (le va contro; Pantalone lo tiene)
Corallina. Eh chiacchierone, non mi cucchi più. (parte)
Florindo. Anche a me renderete conto...
Pantalone. Gnente, lassè che el vaga, e no ve ne impazzè co sto matto.
Florindo. Basta. Ringraziate il signor Pantalone. (parte)
Rosaura. Sposo, sposo, sposo. (gli corre dietro, e parte)
Ottavio. Ah signor Pantalone....
Pantalone. No gh’è altro sior Pantalon. Andè via de sta casa, se no volè che ve fazza portar.
SCENA XXIV.
Brighella, Pantalone ed Ottavio.
Brighella. Cossa gh’è, coss’è sta? Sempre cosse nove.
Ottavio. Ah Brighella, aiutatemi.
Pantalone. Sì, agiutèlo sto omo grato, sto omo da ben, che pò el dirà in premio dei vostri benefizi, che sè ignorante e ustinà.
Brighella. A mi sta roba?
Pantalone. Brighella, menemelo via de qua, e za che vu sè