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426 | ATTO SECONDO |
Che la testa e il cervello io mi gonfiai;
E non ho speme di guarir giammai,
Se di dolce triaca io non son degno.
Va l’Asia tutta, e va l’Europa in guerra,
Ed io sol resterò misero amante.
Cogli occhi al cielo, e con i piedi in terra?
Oh nemica di sè macchina errante!
Ecco amor che v’innalza e che vi afferra.
Globo voi siete, ed è Cupido Atlante.
Ah? Che vi pare? Caffè.
Florindo. (Oh che roba!) (da sè)
Leandro. Avete avuto piacere a sentirlo?
Florindo. Sì, molto.
Leandro. Eppure non mi costa che cinque o sei ore di tempo.
Florindo. Si vede che avete della facilità.
Leandro. Se credeste che presentandolo alla signora Rosaura...
Florindo. No, no, vi ringrazio. (Non ci mancherebbe altro).(da sè)
SCENA XIII.
Ottavio e detti.
Ottavio. (Serrarmi la porta in faccia?) (da sè)
Leandro. Chi è questo? (a Florindo)
Florindo. Non lo conosco.
Leandro. Ehi. (al caffettiere) Questo signore chi è?
Caffettiere. È un forestiere. È un uomo dotto, che parla bene.
Leandro. È dotto sì?
Caffettiere. Almeno ho sentito dirlo.
Leandro. Fategli leggere questo sonetto, così come la cosa venisse da voi, senza dirgli che sono io.
Caffettiere. Sarà servita.
Leandro. Voglio sentire che cosa dice. (a Florindo)
Florindo. Bene, bene. Accomodatevi.