Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
IL CONTRATTEMPO | 425 |
Florindo. Alla corte. Voi conoscete il signor Pantalone de’ Bisognosi.
Leandro. Sì, è uno de’ miei mecenati.
Florindo. Sappiate che egli ha una figlia.
Leandro. Lo so, le ho fatto il suo ritratto.
Florindo. Il suo ritratto? Come?
Leandro. In quattordici versi.
Florindo. Oh bene, io nel vederla più volte, di lei mi sono invaghito. Parlarle non ho potuto, poichè in casa la tengono con una grandissima e somma gelosia. L’ho fatta chiedere al padre, ed egli me l’ha negata.
Leandro. E per questo vi disperate? V’insegnerò io.
Florindo. Che cosa m’insegnerete?
Leandro. Fatele fare un sonetto.
Florindo. Sarebbe inutile. Ella non ascolta...
Leandro. Se resiste a uno de’ miei sonetti, la stimo la donna più crudele del mondo; sapete quante ne ho io convertite con i miei versi?
Florindo. I vostri versi servono a un bell’uffizio.
Leandro. Sentite questo sonetto.
Florindo. Voi mi tormentate.
Leandro. Sentitelo: può essere ch’egli faccia a proposito per il caso vostro. Vi è un poco di analogia.
Florindo. Via, sentiamolo.
Leandro. Sediamo. Avete bevuto il caffè?
Florindo. Non ancora. (sedendo)
Leandro. Ordinatelo, che lo beveremo.
Florindo. Sì, come volete. Ehi, due caffè. (al caffettiere)
Leandro. Eccolo.
SONETTO.
Donna, del vostro cor l’irato sdegno
Nel mio povero sen fa strage assai.
Dal momento primier ch’io vi mirai,
Rimasi come un duro sasso, un legno.