Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
424 | ATTO SECONDO |
ingiuria nemmen per ischerzo, a costo di rovinarmi, di esser povero per tutto il tempo di vita mia: in questa casa non ci verrò mai più. (parte)
SCENA XII.
Strada con bottega da caffè.
Florindo, Leandro e Caffettiere.
Florindo. Caro amico Leandro, dispensatemi.
Leandro. Avrei piacere che mi diceste la vostra opinione.
Florindo. Ho la mente confusa, non sono in caso di giudicare.
Leandro. Un sonetto si legge presto. Lo leggerò io. Favoritemi di sentirlo.
Florindo. (Questi poeti sono pure i gran seccatori). (da sè)
Leandro. Può essere che non vi dispiaccia.
Florindo. Lo so che siete bravo, ma ora non ho la mente serena.
Leandro. Che cosa avete, che vi dà fastidio?
Florindo. Ve lo dirò, acciò non crediate che io per disprezzo ricusi di sentire il vostro sonetto.
Leandro. Eh, so che altre volte avete sentite delle composizioni mie assai più lunghe.
Florindo. (Pur troppo). (da sè) Sappiate, amico...
Leandro. E le avete compatite.
Florindo. Sì, meritamente applaudite. Ora sappiate...
Leandro. Questo sonetto non dovrebbe esser cattivo.
Florindo. Oh, a rivederci. (in atto di partire)
Leandro. Come! così mi piantate? Mi promettete dirmi un non so che, e poi...
Florindo. Se vorrete ascoltarmi, ve lo dirò.
Leandro. Dite, dite, che se vi trovo materia a proposito...
Florindo. Che cosa farete?
Leandro. Un sonetto, subito.
Florindo. Per descrivere il mio infortunio, non basterebbe un canto.
Leandro. Anche un poema, se bisogna. I versi mi cadono dalla penna.