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418 | ATTO SECONDO |
SCENA IV.
Ottavio e le suddette.
Ottavio. Perdonate, signora, se vi ho fatto un poco aspettare.
Beatrice. Sarete stato sinora dal signor Pantalone.
Ottavio. Sì, sono stato, ma non sinora.
Beatrice. L’avete veduta la signora Rosaura?
Ottavio. L’ho veduta. (ridendo) Oh che sciocca!
Beatrice. Prima la lodaste tanto, ed ora la disprezzate?
Ottavio. Io ho lodato la sua beltà, la sua grazia: cose tutte che sono vere, e che cogli occhi si vedono. Ma poi a parlar con lei, è una scimunitella. Non sa niente. Giuoca colla bambola. Sono cose da crepar di ridere.
Beatrice. Voi direte così, credendo di farmi piacere.
Ottavio. Oibò, dico la verità.
Beatrice. Io per altro non son da metter a confronto con lei.
Ottavio. Per bacco, val più una dramma del vostro spirito, che non vale tutta la sua bellezza.
Beatrice. Corallina.
Corallina. Signora.
Beatrice. In tavola.
Corallina. (Via, via, ho capito). (da sè, vuol partire)
Ottavio. Aspettate. (a Corallina)
Corallina. Ha da comandarmi qualcosa, signore? (con ironia)
Ottavio. Signora, vi domando scusa se mi sono presa una libertà. (a Beatrice)
Beatrice. Dite pure.
Ottavio. Venendo a casa, ho trovato l’amico Lelio che voleva farvi una visita. Mi è scappato detto, se voleva pranzar con noi. Egli ha accettato l’invito, ed io, senza avvedermene, mi sono arrogato una libertà che non mi conviene.
Corallina. (Eh sì, il signor padrone!) (da sè)
Beatrice. Non so che dire. Quando ha accettato da voi l’invito, non deggio esser io quella che lo discaccia. Dov’è il signor Lelio?