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IL CONTRATTEMPO | 405 |
Pantalone. Mi no so cossa dir per mi; aver una fia cussì gnocca la xe una disgrazia, ma per ella la xe felice; perchè no conossendo quel che conosse i altri, la xe esente da quelle passion, che per el più ne fa pianzer e suspirar.
SCENA XIV.
Ottavio e detto.
Ottavio. Servitore umilissimo, signor Pantalone.
Pantalone. Oh, gh’ho caro che siè vegnù avanti che vaga fora de casa. Me preme far sto conto. El xe un poco difficile, e no me fido de mi medesimo. Lo farò mi; felo anca vu, e l’incontreremo.
Ottavio. Sì signore. (lo prende franco, senza guardarlo)
Pantalone. (Cussì vederò cossa che el sa far). (da sè)
Ottavio. (Lo capisco. Mi vuol dar la prova come si fa coi ragazzi). (da sè)
Pantalone. Vardèlo quel conto, e diseme se ve compromette de farlo come el va fatto.
Ottavio. Eh, caro signor Pantalone, crede che io non sappia far conti? So sommare, sottrarre, partire, moltiplicare, col sette, col nove, coi rotti; eh via, si lasci servire. (va al tavolino)
Pantalone. Non occorr’altro. Fé pulito, e debotto torno. (El xe un francon, el doveria saver far). (da sè)
SCENA XV.
Ottavio solo.
A me se so far conti? Vediamo un poco, (apre) Ih! quanta roba! Leggiamo. Tizio in Londra ha posto sopra un vascello mercantile un capitale di mille lire sterline. Caio in Cadice, sei mesi dopo, ha caricato sul vascello medesimo tremila pezze da otto. Fabio a Genova, dopo altri quattro mesi, vi ha caricato sopra duemila cinquecento scudi d’argento. Il vascello è