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IL CONTRATTEMPO | 395 |
Ottavio. L’avete saputa?
Beatrice. Sì, l’ho saputa. Una maledizione in ricompensa delle mie attenzioni.
Ottavio. Ho inteso. La riverisco divotamente. (in alto di partire)
Corallina. (Oh, almeno se n’andasse davvero). (da sè)
Beatrice. Dove si va, signore?
Ottavio. Dove il diavolo mi porterà.
Corallina. (Diavolo, portalo lontano assai). (da sè)
Beatrice. Non credevo mai, che dalla vostra bocca escissero maledizioni contro di me.
Ottavio. Ma, cara signora Beatrice, la bocca parla talora senza che l’uomo pensi. Il mio cuore vi benedice. Costei è un’indegna. (a Corallina)
Corallina. Portatemi rispetto, signore: io non ho fatto che il mio dovere.
Ottavio. Tu dovevi conoscere ch’io era in collera, e non dovevi riportare alla padrona quello ch’io aveva detto senza pensare.
Corallina. Se foste un uomo prudente, non parlereste senza pensare.
Ottavio. Questa mattina son fuor di me stesso. L’allegrezza ha messo in moto i miei spiriti con tanta violenza, che non son padrone di regolarli. Ho trovato un impiego; sarò provveduto di uno stipendio onorevole. Potrò corrispondere in qualche parte alle mie obbligazioni con voi. Anche con Corallina farò il mio dovere. Mi serve, è giusto che le sia grato. Sì, son grato, signora Beatrice, e son tutto vostro, e potete di me disporre; ma compatite un involontario trasporto. Il dolore avvilisce gli animi, l’allegrezza sublima il cuore. L’uomo avvilito prima pensa, e poi parla; l’uomo brillante prima parla, e poi pensa. Ma delle mie parole, de’ miei trasporti, delle mie pazzie, eccomi qui, chiedo scusa, domando perdono, compatitemi per carità.
Beatrice. (Chi non si moverebbe a pietà?) (guardandolo amorosamente)
Corallina. (La vedovella pietosa!) (da sè)