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280 | ATTO TERZO |
Conte. Sì, lo è, non lo può nascondere.
Marchese. Si vede negli occhi.
Cavaliere. No, non lo sono. (irato al Marchese)
Marchese. È sempre con me.
Mirandolina. No signore, non è innamorato. Lo dico, lo sostengo, e sono pronta a provarlo.
Cavaliere. (Non posso più). (da sè) Conte, ad altro tempo mi troverete provveduto di spada. (getta via la mezza spada del Marchese)
Marchese. Ehi! la guardia costa denari. (la prende di terra)
Mirandolina. Si fermi, signor Cavaliere, qui ci va della sua riputazione. Questi signori credono ch’ella sia innamorato; bisogna disingannarli.
Cavaliere. Non vi è questo bisogno.
Mirandolina. Oh sì, signore.1 Si trattenga un momento.
Cavaliere. (Che far intende costei?) (da sè)
Mirandolina. Signori, il più certo segno d’amore è quello della gelosia, e chi non sente la gelosia, certamente non ama. Se il signor Cavaliere mi amasse, non potrebbe soffrire ch’io fossi d’un altro, ma egli lo soffrirà, e vedranno...
Cavaliere. Di chi volete voi essere?
Mirandolina. Di quello a cui mi ha destinato mio padre.
Fabrizio. Parlate forse di me? (a Mirandolina)
Mirandolina. Sì, caro Fabrizio, a voi in presenza di questi cavalieri vo’ dar la mano di sposa.
Cavaliere. (Oimè! Con colui? non ho cuor di soffrirlo). (da sè, smaniando)
Conte. (Se sposa Fabrizio, non ama il Cavaliere). (da sè) Sì, sposatevi, e vi prometto trecento scudi.
Marchese. Mirandolina, è meglio un ovo oggi, che una gallina domani. Sposatevi ora, e vi do subito dodici zecchini.
Mirandolina. Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera donna senza grazia, senza brio, incapace d’innamorar persone di merito. Ma Fabrizio mi vuol bene, ed io in questo punto alla presenza loro lo sposo...
- ↑ Pap., Bett. ecc., aggiungono: vi è.