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LA LOCANDIERA | 277 |
Conte. Parlo di voi, che col pretesto di non poter soffrire le donne, avete tentato rapirmi il cuore di Mirandolina, ch’era già mia conquista.
Cavaliere. Io? (alterato verso il Marchese)
Marchese. Io non parlo.
Conte. Voltatevi a me, a me rispondete. Vi vergognate forse d’aver mal proceduto?
Cavaliere. Io mi vergogno d’ascoltarvi più oltre, senza dirvi che voi mentite.
Conte. A me una mentita?
Marchese. (La cosa va peggiorando). (da sè)
Cavaliere. Con qual fondamento potete voi dire?... (Il Conte non sa ciò che si dica). (al Marchese, irato)
Marchese. Ma io non me ne voglio impicciare.
Conte. Voi siete un mentitore.
Marchese. Vado via. (vuol partire)
Cavaliere. Fermatevi. (lo trattiene per forza)
Conte. E mi renderete conto...
Cavaliere. Sì, vi renderò conto. Datemi la vostra spada. (al Marchese)
Marchese. Eh via, acquietatevi tutti due. Caro Conte, cosa importa a voi che il Cavaliere ami Mirandolina?...
Cavaliere. Io l’amo? Non è vero; mente chi lo dice.
Marchese. Mente? La mentita non viene a me. Non sono io che lo dico.
Cavaliere. Chi dunque?
Conte. Io lo dico e lo sostengo, e non ho soggezione di voi.
Cavaliere. Datemi quella spada. (al Marchese)
Marchese. No, dico.
Cavaliere. Siete ancora voi mio nemico?
Marchese. Io sono amico di tutti.
Conte. Azioni indegne son queste.1
Cavaliere. Ah giuro al Cielo! (leva la spada al Marchese, la quale esce col fodero)
- ↑ Pap., Bett. ecc., aggiungono: Azioni da traditori, da gente infame.