Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/288

276 ATTO TERZO

Cavaliere. A te non devo rendere questi conti. Quando comando, voglio esser servito. Pago i miei denari per questo, e giuro al cielo, ella avrà che fare con me.

Fabrizio. V. S. paga i suoi denari per essere servito nelle cose lecite e oneste: ma non ha poi da pretendere, la mi perdoni, che una donna onorata...

Cavaliere. Che dici tu? Che sai tu? Tu non entri ne’ fatti miei. So io quel che ho ordinato a colei.

Fabrizio. Le ha ordinato di venire nella sua camera.

Cavaliere. Va via, briccone, che ti rompo il cranio.

Fabrizio. Mi maraviglio di lei.

Marchese. Zitto. (a Fabrizio)

Conte. Andate via. (a Fabrizio)

Cavaliere. Vattene via di qui. (a Fabrizio)

Fabrizio. Dico, signore... (riscaldandosi)

Marchese. Via. (Lo cacciano via)
Conte. Via.

Fabrizio. (Corpo di bacco! Ho proprio voglia di precipitare). (da sè, e parte)

SCENA XVII.

Il Cavaliere, il Marchese ed il Conte.

Cavaliere. (Indegna! Farmi aspettar nella camera). (da sè)

Marchese. (Che diamine ha?) (piano al Conte)

Conte. (Non lo vedete? È innamorato di Mirandolina).

Cavaliere. (E si trattiene con Fabrizio? E parla seco di matrimonio?) (da sè)

Conte. (Ora è il tempo di vendicarmi). (da sè) Signor Cavaliere, non conviene ridersi delle altrui debolezze, quando si ha un cuor fragile come il vostro.

Cavaliere. Di che intendete voi di parlare?

Conte. So da che provengono le vostre smanie.

Cavaliere. Intendete voi di che parli? (alterato al Marchese)

Marchese. Amico, io non so niente.