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272 | ATTO TERZO |
Marchese. Aspettate. Ora che mi ricordo, sono tredici. (Voglio rendere il suo zecchino anche al Cavaliere).
Conte. Dodici o tredici è lo stesso per me. Tenete.
Marchese. Ve li renderò quanto prima.
Conte. Servitevi quanto vi piace. Danari a me non me ne mancano; e per vendicarmi di costei, spenderei mille doppie.
Marchese. Sì, veramente è un’ingrata. Ho speso tanto per lei, e mi tratta così.
Conte. Voglio rovinare la sua locanda. Ho fatto andar via anche quelle due commedianti.
Marchese. Dove sono le commedianti?
Conte. Erano qui: Ortensia e Dejanira.
Marchese. Come! Non sono dame?
Conte. No. Sono due comiche. Sono arrivati i loro compagni, e la favola è terminata.
Marchese. (La mia boccetta!) (da sè) Dove sono alloggiate?
Conte. In una casa vicino al teatro.
Marchese. (Vado subito a ricuperare la mia boccetta). (parte)
Conte. Con costei mi voglio vendicar così. Il Cavaliere poi, che ha saputo figere per tradirmi, in altra maniera me ne renderà conto. (parte)
SCENA XIII.
Camera con tre porte.
Mirandolina sola.
Oh meschina me! Sono nel brutto impegno! Se il Cavaliere mi arriva, sto fresca. Si è indiavolato maledettamente. Non vorrei che il diavolo lo tentasse di venir qui. Voglio chiudere questa porta. (serra la porta da dove è venuta) Ora principio quasi a pentirmi di quel che ho fatto. È vero che mi sono assai divertita nel farmi correr dietro a tal segno un superbo, un disprezzator delle donne; ma ora che il satiro è sulle furie, vedo in pericolo la mia riputazione e la mia vita medesima. Qui mi convien risolvere qualche cosa di grande. Son sola, non