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LA LOCANDIERA 271

Marchese. Ed io che la regalava continuamente? Le ho fino dato da bere quel mio vino di Cipro così prezioso. Il Cavaliere non avrà fatto con costei una minima parte di quello che abbiamo fatto noi.

Conte. Non dubitate, che anch’egli l’ha regalata.

Marchese. Sì? Che cosa le ha donato?

Conte. Una boccettina d’oro con dello spirito di melissa.

Marchese. (Oimè!) (da sè) Come lo avete saputo?

Conte. Il di lui servidore l’ha detto al mio.

Marchese. (Sempre peggio. Entro in un impegno col Cavaliere).

Conte. Vedo che costei è un’ingrata; voglio assolutamente lasciarla. Voglio partire or ora da questa locanda indegna.

Marchese. Sì, fate bene, andate.

Conte. E voi che siete un cavaliere di tanta riputazione, dovreste partire con me.

Marchese. Ma... dove dovrei andare?

Conte. Vi troverò io un alloggio. Lasciate pensare a me.

Marchese. Quest’alloggio... sarà per esempio...

Conte. Andremo in casa d’un mio paesano. Non ispenderemo nulla.

Marchese. Basta, siete tanto mio amico, che non posso dirvi di no.

Conte. Andiamo, e vendichiamoci di questa femmina sconoscente.

Marchese. Sì, andiamo. (Ma! Come sarà poi della boccetta? Son cavaliere, non posso fare una mal’azione). (da sè)

Conte. Non vi pentite, signor Marchese, andiamo via di qui. Fatemi questo piacere, e poi comandatemi dove posso, che vi servirò.

Marchese. Vi dirò. In confidenza, ma che nessuno lo sappia. Il mio fattore mi ritarda qualche volta le mie rimesse...

Conte. Le avete forse da dar qualche cosa?

Marchese. Sì, dodici zecchini.

Conte. Dodici zecchini? Bisogna che sia dei mesi, che non pagate.

Marchese. Così è, le devo dodici zecchini. Non posso di qua partire senza pagarla. Se voi mi faceste il piacere...

Conte. Volentieri. Eccovi dodici zecchini. (tira fuori la borsa)