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252 ATTO SECONDO

SCENA XIV.

Il Cavaliere, poi il di lui Servitore.

Cavaliere. Ho trovata ben io la maniera di farle andare. Che si pensavano? Di tirarmi nella rete? Povere sciocche! Vadano ora dal Conte, e gli narrino la bella scena. Se erano dame, per rispetto mi conveniva fuggire; ma quando posso, le donne le strapazzo col maggior piacere del mondo. Non ho però potuto strapazzare Mirandolina. Ella mi ha vinto con tanta civiltà, che mi trovo obbligato quasi ad amarla. Ma è donna; non me ne voglio fidare. Voglio andar via. Domani anderò via. Ma se aspetto a domani? Se vengo questa sera a dormir a casa, chi mi assicura che Mirandolina non finisca di rovinarmi? (pensa) Sì; facciamo una risoluzione da uomo.

Servitore. Signore.

Cavaliere. Che cosa vuoi?

Servitore. Il signor Marchese è nella di lei camera che l’aspetta, perchè desidera di parlargli.

Cavaliere. Che vuole cotesto pazzo? Denari non me ne cava più di sotto. Che aspetti, e quando sarà stracco di aspettare, se n’anderà. Va dal cameriere della locanda, e digli che subito porti il mio conto.

Servitore. Sarà obbedita. (in atto di partire)

Cavaliere. Senti. Fa che da qui a due ore siano pronti i bauli.

Servitore. Vuol partir forse?

Cavaliere. Sì, portami qui la spada ed il cappello, senza che se n’accorga il Marchese.

Servitore. Ma se mi vede fare i bauli?

Cavaliere. Dica ciò che vuole. M’hai inteso.

Servitore. (Oh, quanto mi dispiace andar via, per causa di Mirandolina!) (da sè, parte)

Cavaliere. Eppur è vero. Io sento nel partire di qui una dispiacenza nuova, che non ho mai provata. Tanto peggio per me, se vi restassi. Tanto più presto mi convien partire. Sì, donne, sempre più dirò male di voi; sì, voi ci fate del male, ancora quando ci volete fare del bene.