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250 ATTO SECONDO

Cavaliere. Abbandonate? Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (con alterezza)

Dejanira. Amica, non vado avanti sicuro. (ad Ortensia)

Ortensia. (È tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io). (da sè)

Cavaliere. Signore, vi riverisco. (in atto di partire)

Ortensia. Come! Così ci trattate?

Dejanira. Un cavaliere tratta così?

Cavaliere. Perdonatemi. Io son uno che amo assai la mia pace. Sento due dame abbandonate dai loro mariti. Qui ci saranno degl’impegni non pochi; io non sono atto a’ maneggi. Vivo a me stesso. Dame riveritissime, da me non potete sperare nè consiglio, nè aiuto.

Ortensia. Oh via, dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro amabilissimo cavaliere.

Dejanira. Sì, parliamogli con sincerità.

Cavaliere. Che nuovo linguaggio è questo?

Ortensia. Noi non siamo dame.

Cavaliere. No?

Dejanira. Il signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.

Cavaliere. Lo scherzo è fatto. Vi riverisco. (vuol partire)

Ortensia. Fermatevi un momento.

Cavaliere. Che cosa volete?

Dejanira. Degnateci per un momento della vostra amabile conversazione.

Cavaliere. Ho che fare. Non posso trattenermi.

Ortensia. Non vi vogliamo già mangiar niente.

Dejanira. Non vi leveremo la vostra riputazione.

Ortensia. Sappiamo che non potete vedere le donne.

Cavaliere. Se lo sapete, l’ho caro1. Vi riverisco. (vuol partire)

Ortensia. Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi ombra.

Cavaliere. Chi siete?

  1. Pap., Bett. ecc.: l’ho a caro.