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248 | ATTO SECONDO |
Conte. Non pensate altro. Vi servirò io.
Dejanira. a me aveva il signor Marchese promesso un fazzoletto. Ma! ora me lo porta!
Conte. De’ fazzoletti ne troveremo.
Dejanira. Egli è che ne avevo proprio di bisogno.
Conte. Se questo vi gradisce, siete padrona. È pulito. (le offre il suo di seta)
Dejanira. Obbligatissima alle sue finezze.
Conte. Oh! Ecco il Cavaliere. Sarà meglio che sostenghiate il carattere di dame, per poterlo meglio obbligare ad ascoltarvi per civiltà. Ritiratevi un poco indietro; che se vi vede, fugge.
Ortensia. Come si chiama?
Conte. Il cavaliere di Ripafratta, toscano.
Dejanira. Ha moglie?
Conte. Non può vedere le donne.
Ortensia. È ricco? (ritirandosi)
Conte. Sì. Molto.
Dejanira. È generoso? (ritirandosi)
Conte. Piuttosto.
Dejanira. Venga, venga. (si ritira)
Ortensia. Tempo, e non dubiti. (si ritira)
SCENA XII.
Il Cavaliere e detti.
Cavaliere. Conte, siete voi che mi volete?
Conte. Sì; io vi ho dato il presente incomodo.
Cavaliere. Che cosa posso far per servirvi?
Conte. Queste due dame hanno bisogno di voi. (gli addita le due donne, le quali subito s’avanzano)
Cavaliere. Disimpegnatemi. Io non ho tempo di trattenermi.
Ortensia. Signor cavaliere, non intendo di recargli incomodo.
Dejanira. Una parola in grazia, signor cavaliere.
Cavaliere. Signore mie, vi supplico perdonarmi. Ho un affare di premura.