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LA LOCANDIERA 235

Mirandolina. Oh! troppa bontà, signore. Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per dar nel genio ad un cavalier si compito.

Cavaliere. (Domani a Livorno). (da sè) Se avete che fare, non istate a disagio per me.

Mirandolina. Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori. Avrei piacer di sentire, se quel piatto le dà nel genio.

Cavaliere. Volentieri, subito. (lo assaggia) Buono, prezioso. Oh che sapore! Non conosco che cosa sia.

Mirandolina. Eh, io, signore, ho de’ secreti particolari. Queste mani sanno far delle belle cose!

Cavaliere. Dammi da bere. (al servitore, con qualche passione)

Mirandolina. Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.

Cavaliere. Dammi del vino di Borgogna. (al servitore)

Mirandolina. Bravissimo. Il vino di Borgogna è prezioso. Secondo me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere. (Il servitore presenta la bottiglia in tavola con un bicchiere.)

Cavaliere. Voi siete di buon gusto in tutto.

Mirandolina. In verità, che poche volte m’inganno.

Cavaliere. Eppure questa volta voi v’ingannate.

Mirandolina. In che, signore?

Cavaliere. In credere ch’io meriti d’essere da voi distinto.

Mirandolina. Eh, signor Cavaliere... (sospirando)

Cavaliere. Che cosa c’è? Che cosa sono questi sospiri? (alterato)

Mirandolina. Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non vi sono che ingrati.

Cavaliere. Io non vi sarò ingrato. (con placidezza)

Mirandolina. Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio dovere.

Cavaliere. No, no, conosco benissimo.... Non sono cotanto rozzo quanto voi mi credete. Di me non avrete a dolervi. (versa il vino nel bicchiere)

Mirandolina. Ma.... signore.... io non l’intendo.

Cavaliere. Alla vostra salute. (beve)