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220 ATTO PRIMO


Ortensia. Molti daranno anche il nome finto.

Fabrizio. In quanto a questo poi, noialtri scriviamo il nome che ci dettano, e non cerchiamo di più.

Ortensia. Scrivete. La baronessa Ortensia del Poggio, palermitana.

Fabrizio. (Siciliana? Sangue caldo). (scrivendo) Ella, illustrissima? (a Dejanira)

Dejanira. Ed io... (Non so che mi dire).

Ortensia. Via, contessa Dejanira, dategli il vostro nome.

Fabrizio. La supplico. (a Dejanira)

Dejanira. Non l’avete sentito? (a Fabrizio)

Fabrizio. L’illustrìssima signora contessa Dejanira... (scrivendo) Il cognome?

Dejanira. Anche il cognome? (a Fabrizio)

Ortensia. Sì, dal Sole, romana. (a Fabrizio)

Fabrizio. Non occorr’altro. Perdonino l’incomodo. Ora verrà la padrona. (L’ho io detto, che erano due dame? Spero che farò de’ buoni negozi. Mancie non ne mancheranno). (parte)

Dejanira. Serva umilissima della signora Baronessa.

Ortensia. Contessa, a voi m’inchino. (si burlano vicendevolmente)

Dejanira. Qual fortuna mi offre la felicissima congiuntura di rassegnarvi il mio profondo rispetto?

Ortensia. Dalla fontana del vostro cuore scaturir non possono che torrenti di grazie.

SCENA XX.

Mirandolina e dette.

Dejanira. Madama, voi mi adulate. (ad Ortensia, con caricatura)

Ortensia. Contessa, al vostro merito si converrebbe assai più. (fa lo stesso)

Mirandolina. (Oh che dame cerimoniose!) (da sè, in disparte)

Dejanira. (Oh quanto mi vien da ridere!)

Ortensia. Zitto: è qui la padrona. (piano a Dejanira)

Mirandolina. M’inchino a queste dame.