Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA LOCANDIERA | 211 |
stri vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno maneggiando.... Non s’affatichino per me, che non ne voglio saper nulla. Lo sanno pure ch’io non voglio donne per i piedi. E questo mio caro amico, che lo sa più d’ogni altro, mi secca peggio di tutti. (straccia la lettera) Che importa a me di centocinquanta mila scudi? Finchè son solo, mi basta meno. Se fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più. Moglie a me! Piuttosto una febbre quartana.
SCENA XII.
Il Marchese e detto.
Marchese. Amico, vi contentate ch’io venga a stare un poco con voi?
Cavaliere. Mi fate onore.
Marchese. Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte non è degno di stare in conversazione con noi.
Cavaliere. Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
Marchese. Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.
Cavaliere. Non lo potete soffrire, perchè vi è rivale in amore? Vergogna! Un cavaliere della vostra sorta innamorarsi d’una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a una donna!
Marchese. Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
Cavaliere. Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti? Che vuol dire che le donne non mi stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.
Marchese. Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m’inquieta, è il mio fattor di campagna.
Cavaliere. Vi ha fatto qualche porcheria?
Marchese. Mi ha mancato di parola.