Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
112 |
Pantaloncino. La lassa far a mi. Do mille ducati i ha da esser... cinquecento e sessantaquattro zecchini.
Dottore. Meno quattordici lire.
Pantaloncino. È vero, cinquecento sessanta tre e otto. La sa far conti pulito.
Dottore. Li ho contati tante volte.
Pantaloncino. In t’un momento li peso, (va pesando li zecchini)
Lelio. (Se fossi in voi, li prenderei senza pesare).
Pantaloncino. (Queste le xe cosse che ghe vol, per colorir la faccenda).
Dottore. (La sorte mi ha voluto aiutare. Ho guadagnato, dal sei all’otto per cento, quaranta ducati all’anno. In cento visite non guadagno tanto). (da sè)
Pantaloncino. La toga quattro zecchini de più.
Dottore. Di più? Che abbia fallato a contare?
Pantaloncino. El peso porta cussì. Questa xe roba soa; son un galantomo. No voggio quel de nissun.
Dottore. Oh onoratissimo signor Pantaloncino! Voi siete il primo galant’uomo del mondo.
Pantaloncino. Adesso ghe fazzo el so riscontro; e più presto che la vegnirà a tor i so bezzi, la me farà più servizio.
Dottore. Sì signore, da qui qualche anno.
Lelio. Oh via, ora non è tempo di discorrere di queste cose. Fategli la sua cauzione.
Pantaloncino. Subito ghe la fazzo. (va a scrivere)
Lelio. Non potevate capitare in mani migliori.
Dottore. È verissimo. La sorte mi ha favorito.
Lelio. Vi consiglierei partire prima che venisse il signor Pantalone.
Dottore. Perchè? Anzi vorrei dirgli che non mi occorre altro da lui.
Lelio. Se quel vecchio avaro sa che suo figliuolo ha preso denari all’otto per cento, è capace di sconsigliarlo.
Dottore. Il signor Pantaloncino negozia del suo.
Lelio. È vero, ma delle volte si lascia consigliar da suo padre.
Dottore. Presto dunque. Avete finito, signore? (a Pantaloncino)