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I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE 489

Arlecchino. Sti denti poleli essere più forti?

Lelio. Questa vita può essere più attillata?

Arlecchino. Sta panza polela esser più voda?

Lelio. Ah, mi sovviene quante donne ho incantate!

Arlecchino. Ah, m’anecordo quanti piatti ho nettà!

Lelio. E ora non son più quello?

Arlecchino. E adess no se magna più?

Lelio. Ah, Lelio, coraggio.

Arlecchino. Arlecchino, no te desperar.

Lelio. Arlecchino?

Arlecchino. Sior?

Lelio. Batti a quella porta.

Arlecchino. Sior sì, subito. (batte all’osteria)

Lelio. No a quella, a quell’altra.

Arlecchino. Questa l’è l’osteria, dove che se magna.

Lelio. E quella è la casa, dove sta la mia adorata Beatrice. Io ho bisogno di consolare le mie pupille.

Arlecchino. E mi ho bisogno de consolar i mi denti.

Lelio. Batti, e non perder tempo.

Arlecchino. Farò così; batterò qua e qua. Qua per vu, e qua per mi. (accenna la casa e l’osteria)

Lelio. Fa come vuoi.

Arlecchino. Oh de casa, oh dell’osteria! (batte alle due porte)

SCENA X.

Beatrice alla finestra e detti.

Beatrice. Ecco il graziosissimo signor Lelio.

Arlecchino. Qua i ha resposo, sotto vu. Qua l’è averto, drento mi. Vu consoleve i occhi, mi me consolerò el naso, perchè nè vu, nè mi, non avemo un quattrin da consolar el nostro appetito. (entra nell'osteria)

Lelio. M’inchino al vostro bello.

Beatrice. Ed io al vostro brutto.

Lelio. Signora, abbiate pietà di me.