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474 ATTO SECONDO

Toni. Cossa voleu che ve diga?

Pantalone. Xela vostra fia, o no xela vostra fia?

Toni. No la xe mia fia. (parte)

Pantalone. Oe, dove andeu? St’omo deventa matto. (parte)

SCENA XX1.

Veduta di canale con barche.

Barca che arriva, dalla quale sbarcano Salamina,
Musa, Panduro e Moccolo.

Salamina. Amici, eccoci finalmente nella nostra cara Venezia. Sono vent’anni che io non la vedo, e son vent’anni ch’io la sospiro. Benchè in essa io non sia nato, ho fatto in essa la mia fortuna, e non me la posso staccar dal cuore, e la preferisco alla mia vera patria. Nella dura mia schiavitù, due cose mi tormentavano. L’una era la privazione di questa cara città, l’altra la perdita di un’unica mia figliuola. Il cielo che mi ha donata la libertà, mi ha concesso di rivedere Venezia: chi sa che non mi conceda ancora di ritrovare la figlia! Musa, vieni qui. Sei qui stato a Venezia?

Musa. Mi stata altra volta, e aver venduta bagiggiaa.

Salamina. Allora tu eri mercante, ed ora sei servidore.

Musa. Mi servirà volentiera mia cara patrugna Salamina.

Salamina. Ora non son più Salamina. Finsi il nome in Turchia, per facilitarmi il riscatto. Ora sono Ottavio Aretusi, mercante romano, che da molti anni piantato aveva il suo negozio a Venezia. Figliuoli, chi di voi conosce un certo paron Toni Fongo?

Panduro. Lo cognosso mi. Ho navegà con elo in Levante. Anzi m’arrecordo che a Corfù ghe xe stà consegnà una putella e una cassetta de bezzi, da portar a Venezia.

  1. Frutto secco che viene di Levante, della figura d’un lupino.
  1. Sc. XVII nell’ed. Bett.