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472 | ATTO SECONDO |
SCENA XVII1.
Sgualda alla finestra e dette.
Sgualda. Oe, Cate. Va là, che ti xe una gran schittonaa.
Cate. Mi? Per cossa?
Sgualda. Ti ha buttà fora tutto, ah, de mia zermana Checca?2
Cate. Mi ghe l’ho confida a Anzoletta, e sta frasconazza l’ha dito a tutti.
Anzoletta. L’ho dito solamente alla lustrissima siora Beatrice, e ella averà sonà la tromba.
Beatrice. Io non l’ho detto ad altri che alla signora Eleonora.
Eleonora. Ed io solamente a Beppo.
Sgualda. Via, pettegole quante che sè.
Cate. Mi son una donna, sastu? E varda ben come che ti parli. Quelle xe pettegole, e no mi.
Anzoletta. Pettegola a una putta della mia sorta?
Beatrice. Temerarie, vi vorreste addomesticare con noi?
Eleonora. Impertinenti, sfacciate.
Sgualda. Sfacciate? Coi slinci e squincib la me fa giusto da gomitar.
Cate. Siben che le gh’ha i sbruffarisic, no le me fa miga paura, sale?
Beatrice. Vedete, tutto per causa vostra. | (ad Anzoletta) | |
Eleonora. Voi siete stata la ciarliera. |
Anzoletta. Me maraveggio de ele. Son una putta che gh’ha più prudenza de ele.
Sgualda. Respondighe, respondighe, no te lassar far paura.
Cate. Strazzèghed la scuffia.
Beatrice. Andiamo, non è nostro decoro garrire con queste donnaccie. Farò loro tagliar la faccia.
Sgualda. Trui va là.
Cate. Polentina calda.